Capitolo 13 - Ginny

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Tra poco dovrò alzarmi per andare a lezione e non ne ho assolutamente voglia...
Poi, come un lampo che squarcia il cielo, tutto mi ritorna in mente.
Ogni singola e dannata cosa.

Le grida che non ero riuscita ad emettere con lo stupratore, le convoglio tutte in uno solo.

Immediatamente, due braccia enormi mi circondano e mi tengono ferma con forza.

No! No! Ti prego, non di nuovo!

Tengo gli occhi chiusi, perché non lo voglio neanche guardare.

Dio, ti prego fa che se ne vada!

Grido ancora più forte e mi dimeno come non ci fosse un domani, perché veramente non ci sarà un futuro se mi tocca ancora quel pezzo di merda.

«Ginny, stai ferma, sono io, Ryan. Sei al sicuro. Ci sono io. Va tutto bene».

Apro di scatto gli occhi e incontro un mare di ghiacciai in piena burrasca che mi fissano. Ma il suo sguardo è distante e vuoto.

Appena però il suo profumo mi accarezza, mi riporta a casa. Al sicuro.

«Ryan...»

Lo abbraccio e non riesco a reprimere le lacrime che iniziano ad uscire come un fiume in piena. Mi aggrappo ancora di più alla sua maglietta e, contro quel muro di muscoli, trovo un posticino tutto mio.

Ryan non mi dice più nulla. Mi accarezza solo i capelli e mi stringe, ma tutto questo vale più di mille parole.

Ho una voragine di dolore che ogni secondo che passa mi fa sprofondare in una melma nera che non mi lascia scampo.
Mi sento sporca.
Sbagliata.
È come se tutta la gioia e l'energia che avevo, mi fosse stata strappata con una brutalità assurda.

Il mio corpo è un guscio vuoto.
Il mio cuore è ridotto a brandelli.
La mia anima, disperata, piange.

Tra le braccia di Ryan mi irrigidisco e lo allontano facendo premere le mie mani sui suoi pettorali. Lui fa una leggera resistenza per qualche secondo, ma subito dopo mi lascia andare dolcemente. Sta per dirmi qualcosa, ma la porta si apre ed entra il fantasma di mio padre, con i gemelli e Ali dietro.

«Ginny, piccola mia!» esclama mio padre, mentre mi si butta addosso, stringendomi fortissimo.

Grazie a Dio non mi chiede come sto.

«Sei qui, sei al sicuro adesso.» continua commosso.

«Papi, non voglio più stare in ospedale, tanto mi avranno già visitata. Voglio andare a denunciare quello che è successo e poi, per questo week end, non voglio stare al dormitorio. Possiamo andare a New York? Solo io e te?» dico con freddezza. Non mi riconosco neanche io, ma forse un tentato stupro ti fa cambiare, no?
Sono giustificata, credo.

«Bambina mia, dovremmo stare qui ancora almeno fino a domani mattina. Ti vogliono tenere ancora sotto controllo. La polizia sta venendo qui, in ospedale, per ritirare la denuncia. Non voglio sballottarti da una parte all'altra. Ho già avvertito il detective Jefferson. Poi, andremo via io e te, tranquilla.»

«Ok» dico apatica, per poi spostare lo sguardo sui miei gemelli.

Mi stanno guardano con un dolore negli occhi pari quasi alla rabbia, ma senza pietà e gliene sono grata.

Si avvicinano e mi abbracciano.

Non ci diciamo nulla, ma il loro amore nei miei confronti lo sento vivo e reale.

Fa lo stesso anche Ali, che però sta piangendo in silenzio.

«Stai tranquilla, va tutto bene.»

Che cazzo dico? Va tutto bene???

La parte peggiore di me - The Keller series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora