Capitolo 15 - Ginny

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Entro nell'attico e sento il famigliare profumo di biscotti di Dotty nell'aria. Sono stanca e la voglia sarebbe solo quella di buttarmi sul mio letto, ma vado a salutare la cuoca di famiglia.

Mi dispiace solo essere a casa per colpa di...

Sento l'ansia crescere, la melma ritorna. Ancora.

Così, per non far vedere il panico che si sta facendo largo nei miei occhi, l'abbraccio da dietro.

«Ciao Dotty, mi sei mancata moltissimo»

Non aggiungo altro, perché ho paura che la voce mi si spezzi da un momento all'altro.

«Ciao bambina mia, mi sei mancata anche tu. Ma dato che sei qui, ti dovrai sorbire tutti i biscotti al triplo cioccolato che ho fatto!» Ridacchia mentre sistema i dolci in una composizione da pasticceria di lusso.

«Vai a riposarti tesoro. Ci vediamo più tardi, ok?»

Dotty non si è girata. Ha capito che non sono io, perché la vecchia Ginny, neanche l'avrebbe salutata senza aver la bocca piena di quelle prelibatezze.

«Ok, a dopo» rispondo in un soffio.

Sciolgo l'abbraccio e mi fiondo in camera mia.

Era da quasi un mese che non ci mettevo più piede, ma è sempre la stessa. Le pareti sono del classico colore rosa da principesse.

So di avere qualche anno di troppo per le favole, ma lo aveva scelto mamma quando sono nata. Da allora non ho mai voluto cambiarlo.

Mi sembra di avere un pezzetto di lei ancora qui.

I muri sono intrisi di ricordi, tappezzati di foto mie e dei gemelli in tutte le pose più stupide e divertenti.

Le scorro con lo sguardo, ma al posto di rendermi felici, mi sbattono brutalmente in faccia quella spensieratezza che non ho più e che non so se ritornerà.

I miei occhi si fermano sull'unica foto dove ci siamo io e Ryan. Avevamo sì e no dieci anni e mi stava rincorrendo con un riccio di mare, con l'intento di lanciarmelo in testa.

Pazzo. Stronzo. Imbecille, per non avermi neanche salutato!

Sospiro delusa e continuo ad osservare la mia vecchia camera.

Sul letto a baldacchino, lenzuola e copriletto, sono perfettamente stirati e profumano di pulito. Sul comodino c'è la mia lampada preferita a forma di mezza luna arancione.

Vado a sedermi sull'enorme poltrona in pelle accanto alla scrivania. Era la vecchia sedia dell'ufficio di papà e, dato che mi piaceva tantissimo, me l'ha regalata. Ha le rotelle e da piccola ci facevo delle giravolte spaziali.

Sento le lacrime spingere, ma non escono. Se ne stanno ferme lì, ad annebbiarmi la vista.

Penso di rimanere seduta per un tempo lunghissimo. Ho le gambe che pizzicano e mi costringo ad alzarmi. Dovrei andare in bagno, ma ho paura di alzare lo sguardo su quello specchio enorme che tiene tutta la parete e vedere i resti di quello che rimane di me.

Così, mi corico nel letto e chiudo gli occhi.

Tre fottuti secondi dopo li ho di nuovo aperti. Continuo a rivivere certe immagini. Forse avrei dovuto accettare quei tranquillanti, ma non volevo diventarne dipendente.
Prima o poi il mostro lo devi sconfiggere Ginevra Carter.
Ma come?

Sento bussare alla porta.

«Avanti» dico atona.

Papà entra in camera sorridendomi dolce.

«Ti andrebbe di fare una passeggiata a Central Park?»

«Sincera?»

«Come sempre»

La parte peggiore di me - The Keller series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora