Capitolo 74 - Ryan

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Sono in piedi vicino a Ginny e quello che mi sembra si chiami Padre Kevin.

Davanti a noi, su cuscini multicolore, sono seduti tanti bambini, di ogni età. Ho gli occhi di tutti puntati addosso e mi sembra di essere una bestia allo zoo.

La stanza è parecchio grande ed è colorata di un giallo così brillante che immagino dovrebbe trasmettere allegria, ma essendo abituato al grigio delle sbarre e al verdognolo sbiadito delle celle, mi fa quasi venire mal di testa, oltre a irritarmi.

«Bambini, da oggi ci sarà un nuovo zio nella nostra famiglia, che si prenderà cura di voi. Ti vuoi presentare per favore?» mi chiede dolcemente Ginny, voltandosi verso di me.

E tutte le dannate volte che mi parla in questo modo, continua a farmi stare bene, e uccidermi un secondo dopo.

Così rimango in silenzio, mentre sopporto un nuovo dolore.

«Ma è muto?» chiede una bambina dai capelli neri, ma con gli occhi blu. Non penso avrà più di dieci anni.

«No, Hanna, non lo è, ma siate gentili e dategli un po' di tempo per ambientarsi, ok? Allora, lui si chiama Ryan e...»

«Ma si chiama come il tuo angelo! Zio Ryan sei tu l'angelo di cui ci racconta sempre zia Gin?» chiede un'altra bambina dai capelli rossicci e piena di lentiggini.

Ginny questa volta non risponde e guarda me con un mezzo sorriso sulle labbra. Gli occhi le brillano, come a conferma delle parole della bimba.

E subito ritorna prepotente la sensazione di annegamento per la vergogna di quello che non sono riuscito a evitare. Quegli occhi spenti, vitrei e morti mi compaiono davanti ai miei, facendomi cancellare tutto quello che c'è intorno a me.

In carcere, avevo la mia routine e riuscivo a gestire queste cose quando arrivavano, ma qui fuori, sono completamente perso.

Se dovessero ricordarmelo ogni santo giorno, potrei uscire matto.

Io sono solo un guscio vuoto e macchiato dal mio veleno, così tanto, che quando ero in prigione, l'ho mostrato a tutti.

Il pettorale sinistro me lo sono fatto tatuare completamente di nero. È la semplice esternazione di com'è diventato il mio cuore dopo quel dannato giorno...

Anche il braccio destro, dove c'era la data in cui Ginny se n'era andata quando eravamo bambini, l'ho fatto coprire totalmente di nero.

Tanti altri tatuaggi ricoprono parte del mio corpo. Il viso non l'ho toccato, dato che c'è già una bella cicatrice a decorarlo.

Sbatto più volte le palpebre per cercare di scacciare quello sguardo da dentro di me, ma non ci riesco.

Così mi volto e corro via.
Meglio essere un latitante che stare lì dentro e affondare un po' di più ogni secondo.

La porta dell'uscita sbatte così forte che penso quasi di averla scardinata.

Il senso di colpa mi divora nel profondo... Non l'ho protetta.

Lei non era una ragazza qualsiasi.
Era la mia.
Era l'amore della mia vita.

E anche se non so neanche più cosa voglia dire, so che lo era. Non mi ricordo più nulla di quell'emozione, ma nei miei ricordi, ormai completamente sbiaditi e insapore, sorridevo... e lei con me.

Fino a ieri sorridevo quando riuscivo a far arrivare, tramite le guardie corrotte, molta più droga del solito, così da poterla barattare con altro che mi serviva. La mia cella, casa mia, era la più comoda tra tutte, proprio perché ero il migliore come stratega e in cattiveria.

La parte peggiore di me - The Keller series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora