Capitolo 45 - Ginny

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«Quella è davvero una Rolls Royce?» chiedo, guardando il bestione nero davanti a me, scioccata.

Anche noi siamo ricchi di famiglia, anzi, molto probabilmente più di loro, dato che mio padre è l'amministratore dell'azienda dove lavora Julian Keller, ma lui ha sempre optato per educarmi alla semplicità. Per quanto possibile, quando vivi in un ambiente di questo tipo. Tutta l'eleganza e la grandezza di certi posti per me sono scontati.

La cosa importante, invece, è la persona che hai al tuo fianco.

«Precisamente il suv. Forza sali, che siamo in ritardo. Joshua è già al volante.»

«Pure l'autista? Potevamo prendere un taxi!»

«Per questa sera no. Poi vedremo. Ora andiamo però!»

La portiera si apre da sola appena ci avviciniamo e mi fa entrare per prima.

Mi segue a sua volta, mettendosi al mio fianco. Poi con un tasto chiude automaticamente la porta.

«Parti pure Joshua. Grazie»

«Certamente Signor Keller.»

Preme un altro pulsante e un vetro nero oscurante e insonorizzante, ci separa dal guidatore.

Gli interni della macchina sono neri e grigi scuro. I sedili di pelle sono molto più spaziosi rispetto a quelli delle altre macchine. Nel tettuccio sono stati inserite micro lucine blu scuro, chiaro e viola scuro a illuminare in modo soft la vettura. I vetri dei finestrini sono scuri e non lasciano intravedere nulla dal di fuori.

«Sembra di essere in una navicella spaziale! È bellissima!» dico guardandomi intorno, per poi puntare i miei occhi su di lui, sorridendogli.

«Questa volta me lo dici dove stiamo andando?» chiedo curiosa.

«Andiamo a mangiare in un posticino. Questo è quello che ti basta sapere.»

«Uffa!! Certo che qualcosina in più potresti dirmela!»

«Da quanto mi ricordo, ti piacciono le sorprese. Quindi perché rovinartela?»

«È vero, ma sono anche dannatamente curiosa! E ho una fame che non immagini...» dico mettendomi le mani sulla pancia, come volessi far tacere il brontolio che ormai è diventato costante.

«Manca poco. Ne varrà la pena e il tuo pancino sarà felice» mi dice prendendomi la mano.

«Lo so. Ne vale la pena» e non parlo del cibo.

Parlo di lui.

«Anche per me» ribatte serissimo perforandomi con quei suoi bellissimi occhi glaciali.

Parla di me.

Così, con il sorriso sulle labbra, la felicità nell'anima, il cuore pieno d'amore e lo stomaco che brontola, mi faccio stringere da Ryan, mentre guardo fuori dal finestrino.

Dopo qualche minuto, la macchina accosta e, senza che il vetro divisore si abbassi, dall'interfono, Joshua ci comunica di essere arrivati allo STAIRS.

Una volta scesa, Ryan mi prende per mano e mi conduce verso l'ingresso di un palazzo altissimo, tutto vetrato. La hall è enorme.

Il pavimento è in marmo bianco con qualche venatura nera. Le pareti sono in alternanza bianco, nero e oro. Luci a led illuminano perfettamente tutta la stanza, rendendola moderna e antica allo stesso tempo.

Subito davanti a noi c'è un bancone lunghissimo che tiene quasi tutta la parete. Da dietro, un signore sulla quarantina, vestito in modo impeccabile con giacca e cravatta, ci dà il benvenuto.

La parte peggiore di me - The Keller series 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora