Capitolo 9 - Tear (Pt. 5)

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Ciao Pietro,

probabilmente se stai leggendo questa lettera io non ci sarò già più. Non posso giurarti su dove sarò, dipende un po' da cosa preferisci credere. In cielo? Troppo metafisico. Sottoterra mangiato dai vermi? Molto più terreno.

So anche che leggendo queste righe che ti sto lasciando, sarai tremendamente incazzato con me. Non posso darti torto: al posto tuo mi sentirei allo stesso modo.

So anche che probabilmente avrai già pianto, e prima di iniziare vorrei mi promettessi una cosa: leggi questa lettera senza dolore nel cuore, senza pianti e senza rabbia nei miei confronti. Non l'ho scritta per farti soffrire più di quanto non starai già facendo. Pensala più come qualcosa che ti sto lasciando in ricordo di me.



Pietro si ritrovò a chiudere gli occhi dopo quelle prime righe.

La voglia di accartocciare i fogli di quella lettera era forte, ma cercò di resistervi: sapeva che, per quanto la tentazione fosse forte in quel momento, se ne sarebbe pentito nell'immediato dopo averlo fatto.

Si sentiva lo sguardo di Alessio addosso, ora, ma non provò ad alzare gli occhi per accertarsi che lo stesse davvero guardando.

Sospirò di nuovo a fondo, la vista incollata sulle parole fitte lasciate da Fernando. Alzò di nuovo la mano che teneva i fogli, non del tutto sicuro di essere pronto per continuare.



Lo so, starai pensando che tutto quello che ti dovevo dire avrei potuto benissimo dirtelo a voce, faccia a faccia come ho sempre fatto. Però credo anche che lasciarti la mia memoria immacolata, non macchiata da triste rivelazioni e troppa rabbia repressa sarebbe stata di gran lunga meglio. E poi, quel nostro ultimo giorno al parco era dedicato a te, non a me. Io avevo già dato, e tu avevi bisogno di un amico che ti ascoltasse e ti capisse. Non sentirti in colpa per questo: sono state felice di farlo. È forse stata l'ultima cosa che mi ha reso davvero orgoglioso di me.

Non è facile provare a mettere per iscritto quello che vorrei dirti. Pensavo che scriverti una lettera sarebbe stato più semplice, ma non è così: pensare a come ti sentirai quando la leggerai mi riempie di dolore.

So che mi odierai.

So che ti arrabbierai.

So che piangerai.

Vorrei evitarti tutto questo, ma sento di doverti alcune spiegazioni che non sono riuscito a darti prima.

Spero tu possa scusarmi per questo.

So che per quando leggerai queste mie parole probabilmente saprai già un po' di cose, anche se non ne saprai altrettante. Voglio essere sincero fino in fondo con te, perché te lo devo.

Ti starai facendo molte domande, lo so. Te lo leggevo già in faccia quando ci siamo visti e ti ho detto della malattia.

Quando due anni fa, in quel pomeriggio in cui mi leggesti quell'articolo, quello da cui tutto è partito, sulle aggressioni da parte di quell'uomo, ancora non avevo idea di cosa mi stesse aspettando. Sei stato tu a farmi aprire gli occhi, pur inconsapevolmente.

La notte in cui è successo tutto era stato tutto così veloce e confuso che avevo preferito non pensarci più: una normale sera passata in un locale dedicato alla nostra comunità, uscito a fumare da solo e ritrovandomi ben presto in compagnia non voluta. Non mi sono chiesto subito perché quell'uomo mi si era avvicinato e aveva iniziato a colpirmi. So solo che per difendermi ho risposto ai suoi pugni, e poi mi si è avventato addosso mordendomi. Forse, dopo aver letto questo dettaglio, ti ricorderai della fasciatura che mi copriva la mano una delle ultime volte che ci siamo visti prima della nascita di Giacomo.

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