Capitolo 6 - The truth untold (Pt. 3)

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-Hai una faccia terribile-.

Pietro si sedette con pesantezza su una delle sedie attorno al tavolo della cucina, lanciando uno sguardo scettico verso Nicola.

-Grazie per avermelo ricordato, Tessera- mormorò, senza reale risentimento – Ora sì che mi sento davvero molto meglio-.

Non sapeva bene cosa l'avesse spinto ad andare fino a casa di Caterina e Nicola a quell'ora, poco prima di cena. Non era uscito di casa con l'idea di passare da loro, non l'aveva davvero sfiorato.

Non doveva essere passata più di un'ora da quando se ne era andato di casa, dopo aver ripiegato pochi vestiti, aver raccolto altre cose che gli sarebbero potute servire per il tempo in cui Giada avrebbe voluto rimanere sola, e infilare tutto in una vecchia borsa da ginnastica. Se n'era uscito così, senza dire una parola di più, con Giada che si rifiutava ancora di guardarlo, e limitandosi a dare un bacio sui capelli castani di Giacomo prima di andarsene.

E poi si era ritrovato a vagare lungo le calli poco illuminate, senza un'idea precisa su dove andare per passare la notte. Aveva pensato di cercare qualche B&B, ma poi, inconsciamente, si era ritrovato a percorrere la calle dove si trovava il palazzo di Caterina e Nicola. Ci si era fermato davanti diversi minuti, prima di decidersi e suonare il citofono per farsi aprire.

Nicola l'aveva accolto in casa nemmeno dieci minuti prima, tra la sorpresa e il sollievo – Pietro gliel'aveva letto nello sguardo, in quegli occhi azzurri troppo grandi e troppo famigliari per non riconoscervi ogni più piccola sfumatura che li animava.

-Zio!-.

Pietro si voltò verso la soglia, già sapendo chi vi avrebbe trovato. Francesco gli stava già venendo incontro sorridente, i capelli biondi scompigliati. Pietro si ritrovò a ricambiare il sorriso del bambino con più facilità di quella che si sarebbe aspettata, allargando le braccia per invitarlo a raggiungerlo.

-Ecco dov'eri!- gli fece, sporgendosi ad abbracciarlo, sotto gli occhi attenti e addolciti di Nicola.

Si sentì meglio, nell'abbraccio innocente di Francesco. Pietro lo fece accoccolare sulle sue gambe, scompigliandogli appena i capelli così simili a quelli del padre, in un moto d'affetto. Non c'era bisogno che ci fosse davvero del sangue in comune tra loro per sentirsi davvero suo zio, come Francesco aveva preso a chiamarlo da quando aveva imparato a parlare, nel suo modo stentato da treenne: per lui era davvero un nipote, il figlio di due tra le poche persone a cui teneva più di qualsiasi altra cosa.

-Mi sento un po' geloso- fece Nicola, andando a sedersi dall'altra parte del tavolo. Il suo sorriso tradiva quel che aveva detto, e Pietro non poté fare a meno di dargli corda:

-Fai bene- gli rispose, mentre Francesco si sedeva meglio – Gli zii sono fatti apposta per far ingelosire un po' i genitori-.

Pietro rise appena, nel notare lo sguardo pieno di scetticismo di Nicola. Riuscì a sentirsi quasi rilassato, in quell'atmosfera quasi scherzosa: gli parve quasi di poter riuscire a mettersi alle spalle, almeno per il tempo in cui sarebbe rimasto lì, la discussione con Giada. Forse riuscì persino a sfiorare la sensazione di poter non pensare agli ultimi giorni, a Fernando, al funerale.

-Allora, come mai da queste parti?- gli fece Nicola, con aria del tutto casuale, prima di sbattersi una mano sulla fronte – Oh, non ti ho offerto nulla. Vuoi qualcosa?-.

-Sono a posto così- Pietro iniziò dalla domanda più semplice, perché alla prima non aveva nemmeno pensato bene come poter rispondere. Si poteva aspettare una domanda simile, ma si era recato lì così tanto istintivamente che non si era soffermato a pensare a come poter giustificare quella decisione.

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