Capitolo 4 - Ave atque vale (Pt. 1)

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Maybe by the time summer's done

I'll be able to be honest, capable

Of holdin' you in my arms without letting you fall

(Lana del Rey - "Change")*


Cercò di controllare l'orario sul display del telefono in meno tempo possibile, la luminosità al minimo per non disturbare i tre ragazzi che aveva seduti sulle poltroncine accanto alle sue.

Erano da poco passate le undici e mezza, ma poco importava: era sabato sera, e almeno una volta alla settimana si sarebbe potuto permettere di andarsene a dormire più tardi del solito.

Alessio si rilassò meglio contro la poltroncina foderata, il buio della sala che lo attorniava, puntando di nuovo gli occhi sul grande schermo di fronte a sé, dove le immagini di Judas and the Black Messiah [1] stavano venendo proiettate. Erano mesi che non metteva piede in un cinema, e cominciava a pensare che quello fosse stato un enorme sbaglio: era riuscito a distrarsi, seppur per quelle due sole ore passate in sala, e a lasciar fuori tutti i pensieri che lo rendevano inquieto nelle ultime settimane.

A giudicare dalle scene che si stavano susseguendo, alla fine del film doveva mancare poco: si sentì per un attimo piuttosto incerto, la voglia di tornare a casa che ancora scarseggiava.

Aveva cominciato a farci il callo, nelle ultime due settimane, a passare le sue serate in solitaria rinchiuso nella camera degli ospiti – ormai da mesi diventata la sua stanza-, o in giro per Venezia, altrettanto da solo. Il silenzio era un sollievo ed una condanna allo stesso tempo: gli permetteva di stare lontano da Alice, di incrociarla il meno possibile per evitare di volerle fare altre domande che, ne era sicuro, gli avrebbero solo fatto male.

Ma era sempre nel silenzio che la sua mente si divertiva a ricordargli costantemente l'ultima vera conversazione che c'era stata tra di loro. Alla mattina la vedeva prepararsi per uscire e andare al lavoro, e non poteva fare a meno di domandarsi se in quel frangente avrebbe visto Sergio: era diventata una routine che non riusciva a spezzare nemmeno sforzandosi, nemmeno facendo leva sul fatto che, in fin dei conti, non gli interessava davvero sapere cosa potesse succedere tra di loro da quel momento in avanti.

Christian rappresentava l'unico lato positivo delle sue ore a casa: era la sua unica compagnia, l'unica che spezzava le serate passate in silenzio steso a letto o le lunghe passeggiate serali per la città. Aveva passato più tempo con suo figlio in quelle ultime settimane di quanto non gli era mai capitato prima.

Qualche minuto dopo, quando gli ultimi secondi del film avevano lasciato spazio allo sfondo nero per i titoli di coda, Alessio strizzò gli occhi infastidito per le luci che si accesero di colpo in sala. Gli ci volle qualche attimo per riabituarcisi, dopo aver passato due ore al buio quasi completo; intorno a sé le poche altre persone presenti cominciarono a rivestirsi ed alzarsi dalle poltroncine, inforcando gli ombrelli ancora umidi per la pioggia di quella sera.

Alessio si decise ad alzarsi, stiracchiandosi brevemente e trattenendo a stento uno sbadiglio. Un po' di gente era già defluita fuori dalla sala, lungo il corridoio che portava alla sala d'entrata del piccolo cinema; si incamminò anche lui, con fare stanco, verso l'uscita.

Dovette rallentare il passo, trattenendo a stento uno sbuffo: c'era più gente del previsto che stava cercando di uscire in quel momento, e non poté fare altro che accodarsi pensando che, in fin dei conti, non aveva fretta di andare da nessuna parte.

C'erano almeno due famiglie con bambini appresso – Alessio, osservandoli, non poté fare a meno di chiedersi come potessero essere capitati a guardare un film che non avrebbe certo giudicato adatto a bambini così piccoli- che rallentavano la fiumana, e qualche altra persona ancora davanti a lui.

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