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Ben oltre le idee di giusto e sbagliato, c'è un campo. Ti aspetterò laggiù.
Jalaluddin Rumi

Brandon

«Ma che cazzo...» Sentii una voce ovattata.

«Porca puttana...» E un'altra ancora.

Altre parole, altri suoni confusi che mi giunsero alle orecchie in modo confusionario.

Non appena schiusi gli occhi, con un cipiglio sul viso, non riuscii a vedere in modo nitido.

La vista era infatti appannata e un suono martellante nell' orecchio mi fece mugugnare dal fastidio.

«Brandon...» Sentii il mio nome.

Una volta, poi due, poi tre.

Fino a quando un braccio non mi scosse e mi permise di uscire dallo stato confusionario di trance in cui ero piombato.

Man mano che passarono i secondi, riuscii a scorgere ciò che stava intorno a me in modo molto più nitido, fino a quando, fortunatamente, non misi tutto a fuoco. Le sinapsi del cervello si attivarono nuovamente e qualsiasi impulso celebrale e fisico riprese il regolare funzionamento.

Emisi un mugugno e borbottai qualcosa di incomprensibile, ma a un certo punto capii di trovarmi all'interno di una macchina rovesciata.

E non appena mi rivenne in mente l'incidente, e mi resi conto che accanto a me ci fossero anche i miei amici, sgranai gli occhi.

«Lucas, Kev...» Li chiamai, preoccupato. Quando però tentai di alzare le mani, ricordai di essere in realtà ammanettato. «Jacob, Warren...»

Come me, anche loro quattro stavano cercando di liberarsi, senza però alcun risultato. Continuavano infatti a gemere per il dolore, e a tentare di dare almeno una risposta alle centinaia di domande che affollavano la nostra mente.

Pian piano ricostruii tutti gli eventi che avevano portato a quella condizione attuale, e flash incontrollati mi colpirono come missili.

Rivissi il momento in cui gli uomini di Edwing ci avevano sequestrati, davanti a quel locale, per portarci chissà dove. Subito dopo, durante il tragitto, qualcosa ci era venuto addosso.

Gli scagnozzi di Walter erano morti, e nessuno era mai arrivato a destinazione.

Non appena mi sporsi un poco, infatti, vidi i due uomini, ai sedili anteriori, privi di vita. Erano morti sul colpo.

A noi era andata bene, poiché eravamo ancora vivi, eppure non stavamo granché.

Avvertivo infatti dolore al costato, e sui volti dei miei amici erano dipinte espressioni di puro dolore.

Sentivo inoltre il sangue fluire dalla testa, e ne vedevo altro ancora sui sedili, ormai sporchi.

Pezzi di vetro erano sparsi dappertutto macchina e alcuni ci erano persino caduti addosso, graffiandoci.

Solo in quel momento notai proprio una scheggia infilata nel braccio di Jacob.

«Ma che cazzo...» Non riuscii a chiedere al mio amico se stesse bene, poiché, nello stesso istante, uno sportello di quell'auto - ormai staccato dal veicolo - venne sollevato.

Colmo di domande, e con un cipiglio in volto, mi sporsi per scoprire chi cazzo fosse la persona lì fuori, tuttavia tutto ciò che vidi fu un paio di stivali militare da uomo.

La confusione accrebbe, ma riuscii a tenere a bada l'agitazione.

Poteva essere chiunque.

Qualcuno che voleva ucciderci.

ToxicDove le storie prendono vita. Scoprilo ora