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(Consiglio di ascoltare Mercy di Shawn Mendes)

Elizabeth

Mesi fa avevo letto un'aforisma che mi aveva particolarmente colpita: il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo.

Ed era proprio ciò che era successo a me quella sera, quando mi ero fiondata a casa di Nathan e avevo scoperto una verità che ancora facevo fatica a concepire: il mio ex era coinvolto negli affari criminali di suo padre e stava cospirando per uccidere Brandon.

La  mia era sempre stata una vita noiosa, ordinaria, priva di qualsiasi colpo di scena, tuttavia da quando avevo conosciuto i ragazzi era come se si fosse scoperchiato un vaso di pandora, di cui non avevo neppure mai saputo l'esistenza.

Uno a uno erano fuoriusciti segreti, bugie, inganni, che avevano rivelato la vera natura di persone che avevano fatto parte della mia quotidianità per molto tempo. Eppure, per quante cose fossero accadute, ero sicura che ancora ci fossero cose di cui ero all'oscuro.

Tutto sarebbe uscito fuori... col tempo.

Tempo che però in quel momento, mentre guidavo verso Portland, temevo di non avere.

Osservavo infatti in continuazione l'orologio della macchina, provavo a chiamare in continuazione tutti i ragazzi - senza però ricevere risposta - e pregavo con ogni fibra del mio corpo di arrivare in tempo per avvertirli che sarebbero andati incontro a una trappola.

Sopra di me, il cielo ruggiva con tuoni che mi facevano rabbrividire e che presagivano l'andamento di quella notte disastrosa.

Una cattiva sensazione mi accompagnò per tutto il viaggio, fino a quando finalmente non arrivai al porto di Portland, dove Brandon mi aveva detto che sarebbe avvenuto il caricamento delle armi sulla nave di Morgan.

Una volta aver accostato l'auto in un posto isolato e non illuminato dai lampioni, scesi in fretta e furia e corsi alla cieca, alla ricerca dei ragazzi.

Per l'agitazione i palmi delle mani cominciarono a sudarmi, ma non mi fermai.

Brandon mi aveva spiegato che quella sera al porto ci sarebbero stati solo gli uomini di Morgan che avrebbero dovuto far sbarcare il carico delle armi di Clark, per tale motivo fui molto cauta nel farmi vedere.

Mi appostai proprio dietro una piccola barca, che mi permise di restare nascosta e di osservare l'ambiente attorno a me.

Il buio fitto era squarciato dai pochi pali della luce e il rumore dei tuoni sopra di me accresceva quel senso di inquietudine nel mio petto, tuttavia - come ogni volta - mi bastò guardare il mare davanti a me per aggrapparmi a un briciolo di serenità.

Poi, a un certo punto, ecco che vidi nove container dall'altra parte del molo e cinque figure che li trasportavano su una nave, controllati da altri uomini armati.

Quando però sporsi un po' di più il viso oltre la barca e misi meglio a fuoco, ecco che intravidi - sotto la visiera del berretto di di uno di quei cinque uomini - una ciocca bionda e un paio di occhi vispi che mi furono tremendamente familiari...

Lucas.

Spostando lo sguardo, notai le mani tatuate del ragazzo accanto a lui...

Kevin.

Ancora, riconobbi la schiena possente di un altro di loro...

Brandon.

Erano tutti e cinque lì e stavano bene.

Stavano caricando le armi su una piccola nave, proprio come avevano previsto, e nessuno sembrava intenzionato a fermarli...

Mi chiesi allora perché Nathan avesse detto che...

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