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E Cominciai a preoccuparmi quando nell'azzurro dei suoi occhi io riconobbi  pezzi di me stesso persi tempo prima

Brandon Collins - Arya E Wolf

Brandon

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Erano passati tre giorni da quando Elizabeth era corsa via dalla mia camera con le lacrime agli occhi, mortificata per ciò che le avevo detto.

E in quelle settantadue ore, nonostante mi costasse fare una tale rivelazione, avevo pensato e ripensato alle parole che avevo usato nei suoi confronti.

Parole dopo le quali i suoi occhioni azzurri si erano colmati di lacrime e mi avevano guardato come se non volessero accettare che fossi stato tanto vile e crudele da rinfacciarle proprio le sue debolezze.

Debolezze di cui mi aveva parlato a Los Angeles, confidandosi e sfogandosi con me, e alle quali io non avevo dato alcun valore.

Avevo accolto le sue insicurezze e gliele avevo soffiate bruscamente sul viso, per offuscarle la vista e distoglierla dall'idea sbagliata che si era fatta su di me.

Era diversa, lei. Lo sapevo, eppure non potevo essere diverso anche io, nei suoi confronti.

Non lo avrei mai accettato.

Eppure, mentre guidavo verso Porthland - con lo sguardo perso sulla strada e il dorso della mano che distrattamente accarezzava il mento - un lieve peso sullo stomaco mi costringeva a pensare e a ripensare al modo in cui avevo spazzato via il luccichio negli occhi della biondina quando mi guardava.

In quei tre giorni era venuta solo una volta a casa, principalmente per passare del tempo con i ragazzi, sotto loro invito.

Neanche una volta, però, mi aveva rivolto parola, né tantomeno uno sguardo.

Non che la biasimassi.

Ciò nonostante, anche se ero stato io a ordinarle  perfidamente di "non starmi addosso", di non pensarmi e di non farsi illusioni, perché a detta mia - da bugiardo quale ero - lei non aveva nulla di interessante... Beh, vedendo l'indifferenza che aveva cominciato a mostrare nei miei confronti, dovevo ammettere che una scintilla di fastidio era sorta dentro di me.

Ero una fottuta contraddizione da tutta la vita: mortificavo le persone, eppure, nel momento in cui perdevo quelle determinate attenzioni che mi riservavano, ecco che pretendevo di riavere tutto com'era prima.

Non era un atteggiamento sano da parte mia, tuttavia continuavo ad adottarlo senza fottermente di ciò che avrebbe potuto causare negli altri.

L'unico bisogno era appagare me, poiché sapevo che in realtà la vita non mi avrebbe mai concesso un briciolo di spensieratezza totale, pertanto tentavo di prendermelo con la forza.

Di rubarlo a chi ne aveva più di me.

Se non avessi potuto goderne io, non ne avrebbe goduto qualcun altro. E causare mancanze negli altri mi compiaceva... perché se avessi dovuto essere vuoto io, allora avrei riservato la stessa sorte anche a tutti coloro che accidentalmente cascavano lungo il mio cammino di rose appassite e foglie secche.

Questo era da sempre stato il mio ragionamento.

Tuttavia con Elizabeth, nonostante avessi pensato che mortificarla mi avrebbe provocato un malsano piacere, non riuscivo a sentirmi soddisfatto.

Piuttosto, quando ripensavo al comportamento adottato, un lieve senso di colpa mi attanagliava i pensieri, raggruppandoli e trattenendoli con un filo spinato che provocava ferite sanguinanti da qualsiasi parte.

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