Capitolo 29.- Nella vita di Alexei

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Lullaby – Polaroid, Fedez

Sono avvolta in una specie di bozzolo caldo fatto di coperte e braccia che mi circondano: ci sto troppo bene per valutare di alzarmi e, mezza intontita ancora dal sonno, apro solo un istante gli occhi, constatando che ormai è pieno giorno e dalle ante accostate penetra una luce intensa, lunghe lame che cadono sul mio viso e sul pavimento di legno della stanza che riesco a vedere dalla mia posizione.

Mugugno rigirando la testa sul comodo cuscino e mi trovo faccia a faccia con Alexei Peskov: il mio cuore manca un battito.

Sorrido appena, osservandolo con gli occhi socchiusi: sta ancora dormendo profondamente e vederlo senza la sua solita facciata da capo mi sembra un privilegio; ha le ciglia chiare che gli sfiorano gli zigomi, le labbra socchiuse e ciocche di capelli spettinate che vanno in tutte le direzioni, cadendogli sulla fronte. Una delle sue mani è posata sul cuscino, mentre l'altro braccio avvolge ancora i miei fianchi, rassicurante: sembra così diverso... Innocente, perfino indifeso: so che è solo un'impressione, che Alexei è tutto ma non uno da prendere sottogamba. Il mio sguardo cade sulle nocche spellate della mano posata accanto al mio viso.

Gli poso un bacio leggero sulla punta del naso, rannicchiandomi di nuovo tra le sue braccia: lui mi stringe automaticamente a sè, facendomi posare la testa sul suo petto e spostandosi un po' per farmi spazio. Non riesco a riaddormentarmi completamente: ora che sono sveglia il frastuono degli uccellini, il rumore delle macchine, le grida di gioia dei bambini dalla strada mi sembrano impossibili da ignorare, ma cado in una specie di dormiveglia che mi permette di non pensare e di godermi la comoda posiziona in cui sono, al caldo e stretta contro il corpo solido di Alexei.

Non so bene quanto tempi passi, ma ad un certo punto lo sento muoversi piano, il suo respiro cambia e mi rendo conto che si sta svegliando: non riesco a trovare la forza di aprire gli occhi, però, troppo assonnata e intontita. Lui mi posa un bacio leggero tra i capelli, le mani che mi accarezzano piano, con dolcezza, per spostarmi un po' . Mi sostiene la testa e me la fa posare sul cuscino, alzandosi e sistemandomi meglio le coperte attorno: sento i suoi passi leggeri mentre si sforza di non fare rumore e il cigolio della porta, ma rimango a letto, sbadigliando, rannicchiandomi dal lato caldo che ha appena lasciato libero.

Sento il suo profumo e sorrido, avvolgendomi nelle coperte.

Mi sento come quando da piccola avevo avuto la scarlattina e me ne stavo a letto intontita dalla febbre: niente riusciva a scuotermi dal torpore, perfino i cartoni in tv erano offuscati da un velo e tutto era ovattato, proprio come ora... E il pensiero della scarlattina mi ricorda che la mia famiglia pensa che sia rimasta da Ceci stanotte e che dovrei chiamare mia madre o Samantha o qualcuno per avvertirli che sto tornando. Non so che ore siano, ma a giudicare dalla luce forte deve essere almeno mezzogiorno... E poi mi dico che non mi importa di nulla in questo momento.

Mi riaddormento definitivamente.

A svegliarmi di nuovo, e stavolta del tutto, è la necessità fisica che tira giù dal letto milioni di persone ogni mattina: devo fare la pipì. Mi stiracchio a lungo nel letto sfatto di Alexei, sbadigliando e sbattendo le ciglia mentre i miei occhi gonfi si abituano alla luce gradualmente: la finestra è accostata e una piacevole brezza tiepida scuote le tende scure, portando nella stanza un dolce profumo di erba appena tagliata. Dove sarà finito Alexei? Mi stropiccio un occhio, guardandomi attorno, mentre prendo lentamente coscienza che mi trovo davvero nella sua stanza. Mi tiro a sedere, avvolgendomi nel lenzuolo, imbarazzata all'idea di essere in biancheria: ho davvero dormito così con lui? Avvampo al pensiero e scorgo sul pavimento la sua maglietta: è meglio che mi vesta, prima di avventurarmi verso il bagno. Le costole mi danno una fitta dolorosa quando getto le gambe oltre il bordo del letto per alzarmi e sono costretta a riprendere fiato per qualche minuto prima di poter proseguire. Cammino a passi lenti, scalza; il mio intero corpo pulsa per la lotta con Benedict di ieri e le mie dita, sotto le bende sembrano pulsare. Quando tento di muoverle devo trattenere un gemito; raccolgo la maglietta che portavo ieri sera e la infilo, scoccando un'occhiata a quella che presumo essere la stanza di Roger, oltre una porta accostata: il letto è perfettamente intatto e le ante spalancate. Non è tornato a dormire.

Un disastro da amare (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora