Capitolo 28.- Signore

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Lullaby

L'Innominato non è sempre stato squallido e sporco, soprattutto non i primi anni dopo la sua inaugurazione, ma ora è difficile immaginarlo per com'era una volta, pulito, ordinato e pieno di sogni e speranze dei due proprietari. Mentre osservo la facciata corrosa dal fumo, dalla pioggia e dal vento del vecchio magazzino nel mezzo del bosco, dove un cartello storto e sbiadito annuncia la presenza di un pub, mi ricordo vagamente dell'Innominato come era una volta, una taverna di pietra accogliente, che profumava di legna, con tavoli di mogano e sedie di velluto. Un posto bello, elegante, che piaceva a tutti e dove la clientela era composta per lo più da famiglie e operai dopo i turni di lavoro. Non certo il genere di persone che potevano arricchirti.

Ed infatti le cose erano presto cambiate; i proprietari si erano stufati dei magri guadagni ed avevano iniziato a commettere tutta una serie di piccole infrazioni che avevano portato all'acquisto di quel capannone fatiscente convertito a locale, per poter avere più spazio dove allestire la loro discoteca abusiva. La vera taverna ormai è usata solo come saletta privata e secondo voci di strada, quello che accade là dentro è tutto ma non elegante. Non vengo qui da anni ormai e qualcosa mi dice he avrei dovuto continuare a starci lontana: forse lo spiazzo sterrato da cui si solleva polvere rossastra quando parcheggiamo, oppure i gruppetti di ragazzini seduti sulle panchine o sotto il patio, oppure...oppure il fatto che le costole sembrano martellarmi i nervi con scariche di colore costanti.

Ho un brivido e mi stringo nella felpa di Alexei, chiudendo la portiere della banana mobile di Luke con un colpo che riecheggia nella notte silenziosa; i due buttafuori, in realtà dei ragazzi del posto che non sono pagati dai gestori, ma da qualche altra entità come Benedict, ci fissano mentre osserviamo lo stabile, ma non si muovono. Non siamo un pericolo, per ora. Chissà se la penseranno ancora così quando proveremo ad entrare.

La quantità di auto posteggiate a lato della carreggiata e nello spiazzo sterrato è impressionante: sembra che tutti abbiano lasciato la Festa per dedicarsi all'alcool e la paura mi sta arrovellando le viscere. Un dolore sordo mi ricorda che ho un commozione cerebrale e potrei giurare che le mie costole si stiano muovendo, dotate di vita propria.

-Non mi piace questo posto.- annuncia Alexei teso, venendo verso di me, i pugni chiusi; ha insistito per lasciarmi tenere la sua felpa e lui indossa una giacca che ha recuperato nella macchina. Immagino abbia pensato che meno si vedeva delle mie forme, meglio era... e non posso dargli torto.- Non mi piace questa gente... e che tu sia qui, piccola.

-Neppure a me.- mormoro, restia a cedere, ad ammettere che nonostante tutto ho paura e che vorrei non averlo convinto a portarmi di nuovo con lui nel pericolo. Prendo un profondo respiro e mi sforzo di sorridere, stringendogli il polso.-Ma siamo insieme, andrà tutto bene.

Alexei si addolcisce appena, sfiorandomi la fronte con un bacio leggero e si volta, la mano sul mio fianco coperto dalla felpona.-Roger?

Lui sta fissando il resto del parcheggio affollato di coppie che si stringono negli angoli bui e ragazzi che vomitano negli angoli, nei vasi di fiori secchi; è appoggiato al cofano, gli occhi vuoti e senza vita. Il viso pesto è illuminato dalla luce della luna argentea e da quella fioca e giallognola dei lampioni. Si volta verso di noi, le lacrime agli occhi.- L'amore fa schifo. Perchè mi importa di lei dopo il modo in cui mi ha trattato?

-Perchè hai un cuore...-Alexei sospira, controllando il cellulare con le cigli aggrottate.-Mimmo sta per arrivare.-si appoggia al muro del magazzino, tenendo d'occhio i buttafuori davanti all'entrata, la maglietta a maniche corte che mette in evidenza i muscoli delle braccia.-Lullaby devi stare vicino a me, chiaro?

-Certo.- prometto, mordendomi un labbro. Alexei mi guarda ancora serio e mi attira a sè, avvolgendomi tra le braccia, chinando il capo sul mio, stringendomi. Le mie costole protestano e lui sembra rendersene conto e allenta la presa, strofinando il naso tra i miei capelli.-Non voglio che ti faccia male in alcun modo, piccola.

Un disastro da amare (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora