Addio papà...

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Il giorno seguente firmo le mie dimissioni in modo da poter finalmente uscire dall'ospedale. Perché così contenta? Ho sempre, e ripeto sempre, odiato gli ospedali. Sempre. Sono tornata a casa da un giorno, ma non riesco a stare senza far nulla così afferro i miei adorati auricolari e l'MP3 per poi uscire dal mio appartamento. Corro, corro, liberando la mente ed il cuore dalle preoccupazioni. Mi beo dei raggi solari che baciano la mia pelle leggermente diafana, della lieve brezza che spira da nord e della musica che ubriaca sia le mie membra che il mio cuore. Corro per una buona oretta, fermandomi poi sotto un'enorme albero del parco centrale di Brooklyn. Inspiro a pieni polmoni l'aria pulita, sedendomi poi sull'erba fresca e verde. Poggio la schiena contro la corteccia ruvida e scura del grande albero, beandomi dell'ombra, che ricopre buona parte del terreno sotto la grande chioma, e del venticello fresco. Lentamente chiudo gli occhi quando involontariamente la mia mano destra si muove verso il polso sinistro, toccando irrimediabilmente l'orologio che tempo fa mi regalò mio padre. Immediatamente un ricordo nitido s'abbatte prepotentemente nella mia mente, facendomi rivivere ancora una volta quel dilaniante istante.

Flashback

Cinque anni fa

Mi getto a capofitto tra le braccia muscolose ed accoglienti di papà, stringendolo così forte a me da voler fondermi con lui e non lasciarlo andare. No! Non voglio! Non voglio! In lontananza sento i passi di mamma e Luke, seguiti poi dal rumore metallico della porta che si chiude rovinosamente con un colpo secco e deciso. Alzo lentamente la testa ed incontro inevitabilmente gli occhi lucidi di papà. Gli stessi occhi che ho ereditato da lui, gli stessi nel colore e nella lucentezza, nella felicità e nella tristezza, nella forza e nel dolore.

«Papà non andare.» Lo imploro, irrompendo in un pianto disperato.

Lo stringo ancor più forte a me, affondando il volto nel suo ampio petto e bagnando irrimediabilmente la sua maglia color verde militare delle mie lacrime di dolore e disperazione. Non voglio che parta. Non voglio! Senza rendermene conto papà scioglie la presa che lo lega a me, afferrando dolcemente il mio mento tra il suo indice ed il suo pollice, guardandomi tristemente negli occhi lucidi e rossi.

«Andrà tutto bene.» Dice sottovoce. «Tornerò dalla missione tra otto mesi e ti porterò qualcosa del posto come faccio ogni volta.»

No! No! No! Non deve partire! Non deve! Lo scruto contrariata, riabbracciandolo con più forza e negando la sua affermazione con dei movimenti veloci e meccanici della testa.

«Se sei costretto a partire...voglio che torni solo tu, non voglio nulla.»

«Che ne dici di un bracciale?»

Alzo lentamente il capo, non smettendo però di circondare il suo busto con le mie esili braccia. Lo scruto confusa con un sopracciglio alzato. Credo di esser stata abbastanza chiara per quanto riguarda il "regalo". Voglio solo che torni sano e salvo, nient'altro. Lo giuro!

«Facciamo così.» Esordisce, poggiando le sue mani calde e leggermente callose sulle mie spalle. «Questo è il mio orologio.»

Lo sfila delicatamente dal suo polso per poi legarlo al mio. Subito un sorriso triste e nostalgico appare sul suo volto stanco, ma immediatamente lo elimina, mostrandone uno vero e più gioioso del precedente.

«Tienilo al tuo braccio sino al mio ritorno.»

«Va bene, ma tu terrai questa sino a quando non ci rincontreremo.»

Mi slego con lentezza la collana con il ciondolo a mezza luna avvolta intorno al mio collo per poi legarla al suo. Alzo lentamente lo sguardo e noto che papà ora mi sorride con le lacrime agli occhi.

NephilimDove le storie prendono vita. Scoprilo ora