La strada verso Agni[2/4]

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Quando Nemeria riaprì gli occhi, non capì subito dove si trovasse. Pian piano, con una lentezza pigra e indolente, la percezione della realtà che l'attorniava si riappropriò dei suoi sensi. I suoni ripresero il loro posto, si incastrarono con gli odori e inanellarono le forme, finché la Scuola non si completò. Davanti a lei, una fiammella poco più grande del suo pugno sfrigolava sul palmo della sua mano.

Sei stata brava.

Pavona era volata vicino a lei e studiava la fiamma con quello che Nemeria avrebbe potuto definire uno sguardo compiaciuto.

- Non mi era mai capitato di dover fare così tanta fatica per una cosa così piccola. -

Prima non avevi un collare di oricalco alla gola. Questa è la base. Sono trucchetti che, prima o poi, ti avrebbero insegnato anche qui. Ma l'importante, in questa situazione, è il come ti vengono insegnate le cose.

- Dovrò discendere ogni volta per attingere al mio potere? -

No, ti insegnerò pian piano a richiamarlo volontariamente. Non so se hai notato, ma è stato faticoso entrare in comunione con il tuo elementale. Ormai penso tu l'abbia capito: i sentimenti sono una caduta libera, mentre la via della ragione è una lenta scalata. Loro, i tuoi maestri, ti diranno di lasciarti guidare dal tuo sentire del momento e te lo ripeteranno finché non ti sembrerà l'unica strada possibile. Ma, Nemeria, ricordati che è solo quella più semplice e pericolosa e che, alla fine, conduce a un finale scontato nella sua tragicità.

Si sgranchì le zampe e spostò la testa a destra e a sinistra un paio di volte, prima di appuntare nuovamente gli occhi su di lei.

Rimarrei qui tutta la notte a parlare, ma domani ti aspetta una dura giornata e dubito che chiunque ti abbia regalato quei lividi si fermerà davanti a un viso stanco.

Bastò l'accenno di una smorfia infastidita perché il dolore tornasse a pungerla. Si trattenne dal massaggiarsi il naso.

- Tornerai anche domani sera? -

Farò il possibile, ma non posso prometterti nulla.

Nemeria annuì. Spense la fiamma chiudendo la mano a pugno e rimpugnò la shamshir. La pulì sui vestiti e intercettò un rivolo di sudore prima che si infilasse sotto le bende del collo.

- Non so davvero come ringraziarti. Quello che hai fatto per me stasera, significa molto per me. Se imparerò a controllarmi, sarà solo grazie a te. -

Se vuoi sdebitarti, sopravvivi e non perderti mai d'animo, almeno non qui. Non sopporterei di vederti portata via dal Consorzio o soppressa come un animale. Anche se non ci conosciamo, condividiamo un retaggio e una discendenza comuni. Per me questo tanto basta per considerarti sangue del mio sangue.

Pavona spiegò le ali e si librò in aria affinché Nemeria potesse specchiarsi nei suoi occhi, un riflesso distorto sotto un sottile velo di lacrime. Poi volò via, attraverso il corridoio di colonne rosse e oltre l'aura aranciata dei bracieri e delle torce. Udì qualcuno imprecare, il tonfo di una lancia a terra, un borbottio sorpreso di una donna. I suoni risvegliati da quell'inaspettata visione tacquero in fretta così com'erano sorti.

- Lo prometto. - sussurrò Nemeria e si mise la mano sul cuore.

Nelle settimane che seguirono, il tempo parve sbriciolarsi. Dopo le misure del giorno seguente, Nemeria tornò quasi tutti i giorni da Nande, per lo più per farsi cambiare le bende e controllare la guarigione del naso. Poi seguiva la colazione e l'allenamento con Roshanai al campo del fuoco e talvolta con Reza, ma man mano che i giorni passavano la sua presenza venne sempre meno, finché non rimase solo la Ver'ilef.

A differenza di Sayuri, la Syad del fuoco non era così puntuale come Nemeria aveva pensato: rimproverava lei e Durga se arrivavano un paio di minuti dopo rispetto all'orario d'inizio, ma non era raro che lei ritardasse anche di un'ora. Nonostante il fastidio di rimanere sotto il sole ad aspettare, Roshanai era capace. Si presentava ogni volta con un'arma diversa, costringendole così a cambiare strategia, passi e combinazione di colpi. Gli assalti che funzionavano con una surik potevano risultare inefficaci contro un rencong.

Nemeria e Durga impararono sulla loro pelle quanto fosse importante studiare l'avversario prima di compiere qualsiasi azione. Andavano avanti a oltranza fino a pranzo e poi, con ancora il sapore della minestra d'avena sul palato, correvano di nuovo da lei e continuavano l'addestramento fino a sera, a un orario che poteva collocarsi tra un'ora prima o due dopo cena.

Nemeria tornava in camera da Noriko e Batuffolo esausta, aspettava che si addormentassero e andava al campo del fuoco, dove l'attendeva Pavona. Era tornata spesso sotto le fattezze di un corvo o di un topo grigio, non più grande di un pugno. L'addestramento con lei era pesante, molto più di quello con Roshanai, ma la sua vicinanza aveva il potere di alleggerire la fatica e dissiparla in una tensione che le imponeva di impegnarsi ancora di più. Gli esercizi dove doveva dare una forma alla fiamma erano i più difficili, soprattutto quando la obbligava a mantenere la concentrazione e, contemporaneamente, a fare dei calcoli o a recitare una filastrocca. Spesso Pavona le chiedeva di cantare delle canzoni tipiche della tribù e, anche dopo la fine dell'addestramento, se Nemeria non l'aveva conclusa, la esortava a terminare. Lei si limitava ad ascoltare e il suo sguardo vagava lontano, al di là delle mura e oltre il presente.

Se la compagnia di Pavona era ricercata e attesa, gli incontri con Roshanai risvegliavano una commistione di sentimenti che Nemeria faticava a tenere a bada. Non aveva idea di cosa provasse Durga, ma nel suo cuore non c'era altro che odio, un odio misto a rabbia che doveva sforzarsi di reprimere. Se non fosse stato per la pietra di luna e per gli avvertimenti di Pavona, si sarebbe lasciata travolgere e inghiottire fino a consumarsi.

- Stai solo facendo il suo gioco. - l'aveva redarguita Noriko una sera, ma Nemeria non l'aveva ascoltata.

All'interno della sua corazza, non c'era spazio per altro se non per la risolutezza di non farsi schiacciare da una donna del genere e, in confronto alla rabbia che le ribolliva nelle vene, l'odio di cui si era rivestita era una cella con le pareti di ghiaccio, così spesse da intirizzirle l'anima. Non importava quanto faticoso fosse l'allenamento o quanto Roshanai la spingesse al suo limite: l'umiliazione della sconfitta e il peso dell'inadeguatezza la spingevano a rialzarsi sempre, anche quando era la sola forza di volontà a tenerla in piedi. Le bacche tanu erano una tentazione, una promessa di forza più suadente di Agni. Le riponeva sotto il materasso, nell'angolo più lontano e polveroso per non cedervi, perché avrebbe dovuto ripagare l'energia ricevuta con altre e più pesanti notti insonni.

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