L'inizio del torneo[5/5]

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Quando la scorta di Dariush si fu ricompattata attorno a lui, le guardie che erano rimaste con Nemeria passarono oltre l'arco d'ingresso. Percorsero un breve corridoio che alla fine si apriva in una stanza spoglia. L'umidità aveva scolorito gli affreschi alle pareti, ma gli alberi da frutto e la ghirlanda di Gemme del Firmamento in stucco che ne adornavano gli angoli erano così minuziosi da sembrare veri. Sulla sinistra c'era un cancello con affisso un cartello di creta, con su scritto "pubblico", mentre sulla destra ve n'era un altro sul cui stipite era stato inciso "gladiatori". La guardia lo aprì e Nemeria marciò lungo un corridoio, anch'esso spoglio se non per gli scudi d'oricalco sbalzato su cui capeggiava il profilo di uomini, donne o bestie. Sotto ognuno, c'era una targhetta con il nome del precedente proprietario. Nonostante l'aria fresca, l'ambiente era opprimente e Nemeria si sentiva quasi soffocare. Tirò il collare e lo mosse a destra e a sinistra come se lo volesse allentare, ma più ci provava, più aveva la sensazione che il cuoio si stesse stringendo. Soltanto quando la guardia aprì il cancello che la separava dall'arena vera e propria, i polmoni tornarono a incamerare ossigeno e le fiamme si rinfocolarono.

Non si accorse di essere rimasta sola finché non udì, in un suono attutito e distante, i passi dei soldati allontanarsi. Rimase piegata sulle ginocchia a respirare. Con la coda dell'occhio riusciva a captare dei movimenti sugli spalti, scorci di tuniche e teste che si spostavano e si sedevano dove i Syad e le guardie indicavano. Avrebbe voluto cercare le sue amiche, ma sentiva la testa ancora troppo pesante e la sua linea visiva era limitata a quell'ellisse sabbiosa, punteggiata da grossi massi di pietra nera sparsi come ciliegie su una torta.

Fu il suono prolungato del corno a suggerirle di raddrizzarsi: Dariush era al centro del campo e Nemeria decise di raggiungerlo.

Koosha e i lanisti sedevano in quello che, se fosse stata l'arena ufficiale, sarebbe stato il palco riservato al governatore e alla sua famiglia. Tyrron aveva preso posto di fianco al direttore, con le gambe larghe e il bacino scivolato in avanti, il gomito appoggiato sul bracciolo e la mano sulla bocca. Da quella distanza, Nemeria non avrebbe saputo dire se fosse preoccupato o semplicemente concentrato.

Koosha si alzò e avanzò con passo malfermo fino alla balaustra.

- Che lo scontro abbia inizio! - dichiarò.

Dariush scrollò le spalle e agitò le mani. La pelle si disfece e si staccò in un turbinio di cenere, mettendo in mostra l'armatura di roccia rossa, una lastra uniforme picchiettata di bianco e ruggine. Nemeria fece appena in tempo a sguainare la shamshir.

Dariush la caricò a testa bassa. Nemeria schivò il primo pugno, balzò indietro al secondo e guadagnò una posizione di sicurezza dopo il terzo.

Le vedeva. Non era in grado di deviarle o di contrattaccare senza rischiare che le rompesse qualche osso, ma riusciva a vedere le traiettorie dei suoi colpi.

- Cos'è, hai paura? - Dariush aprì le braccia e la provocò, - Da quando quella stupida ti ha portato nella mia tana, niente è andato nel verso giusto. Se tu non ci fossi stata, adesso saremmo ancora liberi! -

Scattò verso di lei. Nemeria si abbassò sulle ginocchia, roteò su se stessa e sferrò un colpo veloce e stretto, aumentando la potenza del colpo con una brusca rotazione del torso. Dariush vacillò, un ginocchio quasi cedette e l'altra gamba si piegò sotto il suo peso. Si voltò, menando un colpo alla cieca che parve fendere l'aria come un martello da guerra. Nemeria si spinse via e indietreggiò finché non fu fuori dalla sua portata. Il taglio obliquo che gli aveva aperto la tunica e la pelle le causò un brivido d'eccitazione nei lombi.

- Ti avrei dovuto ammazzare prima. -

Digrignò i denti e l'attaccò di nuovo. Destro, sinistro, destro, destro, sinistro. Un susseguirsi di pugni che le toglievano il fiato a ogni schivata. Dariush era potente, ma i suoi colpi erano meno veloci sia di quelli di Durga sia di quelli di Roshanai. A ogni colpo mancato, l'espressione sul suo volto diventava sempre più feroce, più cattiva.

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