Il coraggio di non aver paura [2/4]

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Noriko si allontanò assieme ai compagni, compresi i gemelli, che quasi corsero a rifugiarsi dentro la loro tenda in preda ai sensi di colpa. Rimasero soltanto Nemeria e Altea. Per un po' nessuna delle due si mosse, poi Altea si avvicinò e, con le mani ancora tremanti, si accovacciò accanto a lui, raccogliendo uno dei tanti pezzi che costituivano il tappeto eterogeneo di linee, chiaro-scuri e prospettive ormai distrutte.

Hirad si bloccò un istante e Nemeria colse l'occasione per raggiungerlo. La pietra di luna si era raffreddata, così come la sua rabbia, e adesso l'unico desiderio che aveva era quello di abbracciarlo, stringerlo forte come Etheram faceva con lei quando si svegliava da un brutto sogno o perché fuori si era scatenato un temporale. L'istinto, però, le suggerì di limitarsi ad aiutarlo, poiché una tale manifestazione di affetto non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore: quando Dariush aveva strappato il primo disegno, era stato come se lo avesse pugnalato, e poi aveva continuato finché la sua anima esangue non gli era scivolata di mano assieme all'ultima pergamena.

- Sei davvero bravo a disegnare. - mormorò Altea, porgendogli un angolo di cielo stellato, - Io non sono intelligente o esperta di arte, però, ecco, le tue opere sono meravigliose. Dariush è stato crudele. -

- Nah, non sono granché. Mi diletto a ritrarre ciò che vedo, ma non sono un vero artista. Mia madre aveva molto più talento, riusciva a catturare la realtà e a eternarla con pochi, semplici tratti. Io, invece, pasticcio sui fogli a tempo perso. Dariush ha ragione, è uno spreco di carta. -

- No, non è vero. Non so che persona fosse tua madre, ma per quello che ho visto tu sei anche migliore, anzi, più migliore del pittore che sta sulla Via degli Usignoli nel Quartiere d'Ambra. Un giorno, ne sono certa, diventerai l'artista più famoso della città! E quando ripenserai a quello che è successo oggi, ti farai una risata e dirai "Ah! Quel bastardo di Dariush è rimasto in strada a rubacchiare gli avanzi, mentre io ora nuoto nell'oro, ho ventiquattro mogli e faccio colazione con bekljva e kedayif ogni mattina". -

- Più migliore... la mia istitutrice si starà rivoltando nella tomba. - commentò inorridito.

- Te l'ho detto, non sono come te! E comunque il punto non era quello. È che un giorno tu te ne andrai di qui, con Nemeria e Noriko. Diventerete dei grandi, scriverete la storia e quando tutti e tre vivrete nel vostro palazzo personale vi sarete già scordati di questi giorni tristi. Non avrete nemmeno tempo di pensarci con tutte le cose da potenti che avrete da fare. -

- Io non voglio ventiquattro mariti. La ricchezza sì, ma non voglio avere a che fare con più di un uomo alla volta. - si intromise Nemeria, facendosi più vicina.

Altea ruotò gli occhi esasperata: - Forse ho un po' esagerato col numero, ma non era quello il nocciolo della questione! -

- Io ho capito. Solo che adesso non riesco a pensarci, anzi, non sono in grado di pensare a nulla. - disse Hirad e strinse al petto un frammento di disegno, per poi infilarlo nelle tasche dei pantaloni.

A nulla valsero i successivi tentativi delle due ragazze di consolarlo, le loro parole si infrangevano contro un muro di silenzio e sofferenza.

Nemeria dovette reprimere l'istinto di alzarsi e andare a prendere a pugni Dariush, quando lo vide uscire dalla sua tenda con le braccia bendate. Questi dovette accorgersi d'essere osservato perché si girò nella sua direzione. Per un istante che durò un'eternità i due si fronteggiarono con lo sguardo, gli occhi rossi, fiammeggianti di rabbia di Nemeria intrecciati a quelli strafottenti e pieni di disprezzo dello Sha'ir. Il fuoco delle torce si ingrossò, alzandosi fino quasi a lambire le ombre sul soffitto. Le vene sugli avambracci e sul collo del ragazzo si tesero nervose, mentre le sue dita si riempirono di squame, mettendo in mostra un'altra pelle più dura, più resistente, quasi impenetrabile. Non seppero cosa li fermò dal regolare i conti subito. Semplicemente, l'attimo prima stavano per azzannarsi alla gola e quello dopo tornarono a far finta di niente, ignorandosi reciprocamente.

Nessuno aveva osato intromettersi, così come nessuno aveva accennato a prendere le difese di Hirad, troppo occupati a fingere di badare agli affari propri. Nemeria era incredula.

"Che razza di famiglia è?"

La tensione aleggiò per ore nella tana, opprimente come una cappa tossica.

L'ora di cena arrivò in fretta, ma senza l'allegria che normalmente la caratterizzava. Afareen e Chalipa servirono riso con pomodori, peperoni verdi e qualche pezzetto di carne di topo. Nemeria lo mangiò a forza, costringendosi a inghiottire un boccone alla volta masticandolo a lungo, fino a quando la sensazione di nausea non si attenuava un po'. Di tanto in tanto gettava un'occhiata ad Hirad, che, come lei, sembrava combattere contro la sua porzione. Aveva gli occhi ancora rossi e per tutta la cena non li distolse mai dalle fiamme che crepitavano nel focolare, incurante dell'atmosfera densa come melassa.

Di fianco a lui si era seduta Altea, che cercò di ravvivare la serata raccontando aneddoti divertenti, senza però riuscire a coinvolgere nessuno. Nemeria, così come i presenti, l'ascoltava distrattamente, annuendo e stirando le labbra in un sorriso nei momenti più opportuni. La rabbia per quello che era accaduto era ancora tanta e vedere Hirad in quello stato non faceva altro che accentuarla, facendole ribollire il sangue, mentre la pietra di luna manteneva un calore costante che controbilanciava quello che sentiva pervaderle la mente e il corpo. Non poteva fare nulla che potesse davvero aiutarlo; sfidare Dariush era una scelta azzardata, avrebbe messo in pericolo non solo lei, ma l'intera famiglia, e questo Nemeria non poteva permetterlo. Buttò giù un altro boccone e addentò un pezzo di pane bianco così duro da sembrare di pietra.

Lo Sha'ir non si era presentato per cena, ma aveva ordinato a Kimiya di portargliela nella tenda. Nemeria sospettava che stesse cercando di riprendere il controllo dell'elementale della terra e, seppure contro voglia, anche lei sperava che ci riuscisse.

Un brivido freddo le corse lungo la schiena al ricordo dei due Falchi Neri. Hediye, quando lei ed Etheram erano ancora piccole e le avevano chiesto di raccontare una storia di paura, aveva narrato di quando viveva ancora tra gli uomini. Proveniva da una città piccola e poco distante dalla capitale, dove il sultano aveva fatto costruire una delle tante arene in onore di suo padre. La sua famiglia ogni fine settimana la trascinava sugli spalti a vedere gli spettacoli, gladiatori che combattevano gli uni contro gli altri, oppure contro prigionieri provenienti da terre al di là del mare e Jin. A Nemeria erano rimaste impresse le parole di sua madre, quando le aveva descritto l'avversario di quel Dominatore: crudele, inumano, deforme, ma soprattutto troppo forte per qualsiasi mortale. Era risaputo nella sua tribù che qualsiasi mortale che abusava della magia inevitabilmente diventasse un Jin, era la maledizione che la Madre stessa aveva scagliato sulla stirpe degli uomini quando Heydar aveva ucciso Soraya. A detta di tutte le Anziane, la maggior parte dei Jin erano esseri deformi, orribili, però ce ne erano alcuni, i più pericolosi, che mantenevano un aspetto normale e si mescolavano ai mortali, imbrogliando anche gli occhi più esperti.

Dariush doveva essere ancora normale, ma Nemeria era sicura si trovasse sulla sottile linea di confine tra Sha'ir e Jin. Sarebbe bastato un niente per vederlo trasformarsi in un mostro. Per quanto lo odiasse, pregò la Madre che gli desse la forza di riacquistare il controllo, che avesse pietà di tutti loro.

Quasi le venne da vomitare quando mangiò l'ultimo pezzo di pane. Dovette affondare i denti nelle labbra per reprimere il conato e rimanere lucida, senza cedere di un passo alla paura che sopravanzava.

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