Il battesimo del fuoco[4/5]

610 84 99
                                    

"E adesso?"

La domanda aleggiò nell'aria per un po' e rimase insoluta. Quando il silenzio le rese difficile pensare, decise di uscire pure lei. Non aveva una meta precisa e, anche se sapeva che camminando non avrebbe trovato la soluzione ai suoi problemi, si rese conto che se fosse andata ad allenarsi non avrebbe concluso nulla. La sua mente vagava da un pensiero all'altro, in balia dell'indecisione, della spossatezza e dei sentimenti repressi nelle settimane precedenti. C'erano così tante questioni irrisolte, che non faceva a tempo a focalizzarsi su una che un'altra appariva, richiamando prepotentemente la sua attenzione. Aveva la nausea, come se si trovasse in balia di una tempesta in mezzo al mare.

Scese le scale, oltrepassò i bagni e percorse un corridoio parallelo al campo d'allenamento centrale. Le guardie le scoccarono appena uno sguardo, prima di tornare a parlare tra di loro. Erano di meno rispetto a quelle che stazionavano sugli altri piani e, quando sbirciò nella fessura tra l'uscio e la porta lasciata socchiusa, Nemeria capì il perché.

Vide una camerata con una trentina di letti, divisi solo da alcuni bassi e sparuti comodini. La luce proveniva per lo più dalle lanterne che penzolavano dal soffitto, delle bocce di vetro opaco simili a bolle di ghiaccio sporco che faticavano a scacciare le ombre più vicine. L'unico accesso sul mondo esterno era una finestra incassata nel muro che aggettava sulla strada, così piccola da dare l'impressione di osservare un quadro in miniatura.

Nemeria compì un paio di passi all'interno e tastò con mano il letto più vicino. Il materasso era duro e bitorzoluto, molto più scomodo di quelli dove dormivano lei e Noriko, e il cuscino era sottile e svuotato, con le piume che fuoriuscivano in ispidi ciuffetti dai buchi nella federa.

"La stanza della servitù, immagino."

Si sedette sul bordo, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il fresco le snebbiò la mente e placò un po' la sua inquietudine.

Aprì la mano e attinse al potere di Agni. Ormai le veniva naturale come respirare. Tuttavia, la semplicità con cui la fiammella si accese la sorprese. Il collare restava sempre un impedimento, un blocco seppur minimo a una discesa altrimenti semplice, ma non era più un peso. Era una corda, una stupida corda che la tratteneva con uno strattone quando provava ad attingere troppo in fretta o pretendeva troppo potere.

Mosse le dita e plasmò la fiamma nelle sembianze di un coniglio in corsa, poi di un cerbiatto e, infine, di un piccolo caracal che si rotolava sul palmo.

Volontà. Bastava averne abbastanza per imprimere la forma al fuoco. La sfida era mantenerla, perché il fuoco era un elemento instabile che cambiava come e più in fretta di un pensiero, come le aveva spiegato Pavona.

La fiamma si assottigliò in una sinuosa lingua luminosa, si allungò e compose le braccia di una donna che danzava battendo un req contro il polso. I sonagli trillavano a ogni colpo, scandendo il ritmo dei fianchi e delle giravolte. Agni ballava con un'eleganza che avrebbe incantato chiunque, come quelle gitane con le gonne ampie cucite di mille colori che allestivano i loro spettacoli agli angoli delle strade. Nemeria era sorda alla sua musica e anche alla sua voce. Se avesse voluto sentirla, avrebbe dovuto scendere e, forse, nemmeno in quel caso ci sarebbe riuscita. D'altronde, sebbene Agni fosse sempre dentro di lei, era comunque una semplice fiamma: instabile, precaria, caduca. Se non era lei stessa a protendersi, ad accendersi al richiamo di Nemeria, persino la costrizione del collare poteva bloccarne il flusso.

- Dominatrice. -

Nemeria chiuse le mano e si voltò di scatto. Il ragazzo che era venuto nella sua camera la sera della prova la fissava da dietro un letto con gli occhi azzurri animati da una luce curiosa.

- Come ti chiami? -

- Ozgur. -

- Il letto è tuo? -

Fighting FireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora