Il Nome nel Buio[2/4]

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Noriko allungò il braccio al di fuori della sponda, facendole cenno con la mano di avvicinarsi.

- Vieni qui. -

Nemeria si stese al suo fianco con il viso appoggiato poco sopra il suo petto.

- Ti dispiace se leggo un po'? -

- No, fa' pure. -

La luce della candela era una sicurezza. Il fuoco teneva le tenebre lontane, rischiarava le notti più buie e scaldava quando fuori dalla tenda soffiava il vento del deserto.

Nemeria abbracciò Noriko e la strinse piano a sé. Delle due famiglie che aveva avuto, era l'unica che era sopravvissuta, la sola che gli eventi non le avevano portato via. La loro assenza pesava più delle mezze verità e delle bugie che aveva detto a se stessa e a loro per sopravvivere.

"Forse è questa la mia punizione per non aver dato loro fiducia."

Si morse un labbro e guardò le pagine del libro che Noriko stava leggendo. Gli ideogrammi le scorrevano davanti agli occhi senza che lei li recepisse davvero. Ne riconobbe alcuni, ma non riusciva a ricordarne il significato.

Socchiuse gli occhi, si aggrappò con una gamba a quella della sua compagna e appoggiò la guancia vicino al suo orecchio. I suoi capelli profumavano di sapone ed erba in modo così forte da irritarle le narici. Era diverso dall'odore di creta e frutta che invece permeava la chioma di Etheram.

La sua vita, da quando aveva abbandonato la sua tribù, era stata un continuo susseguirsi di perdite di persone, di speranze e di sogni. E ripensare a sua sorella, al seppur piccolo nucleo familiare che costituivano assieme a Hediye e Rakhsaan, era ancor più doloroso alla luce di ciò che, prima o poi, le sarebbe accaduto. Ma nell'ottica di quello che era diventata, era giusto così: il giorno in cui si era svegliata con quel collare stretto alla gola, la sua esistenza come essere umano era terminata.

"Gli oggetti non si creano una famiglia."

Un singulto le scosse il petto e Nemeria strinse forte le palpebre per non lasciar andare le lacrime.

- Buonanotte, Noriko. - esalò.

La presa attorno alla sua spalla si rinsaldò per un attimo, accompagnandola in un sonno agitato.

Quella notte, Nemeria sognò di star camminando sulle spiagge di Chera con tutta la sua tribù.

Hediye era al suo fianco con in braccio il piccolo Rakhsaan, che dormiva con la testa riccioluta appoggiata sulla sua spalla.

Il vento spirava dal mare e cavalcava le onde che si infrangevano sulla battigia. Un lento, costante e roboante sciabordio pervadeva il silenzio vespertino.

Sua sorella camminava davanti a lei con in mano il suo fidato blocco da disegno. Di tanto in tanto si fermava, abbozzava una forma e poi recuperava terreno con uno scatto che faceva schizzare l'acqua da tutte le parti. Il bianco tra i suoi capelli non era ancora così vistoso come poi lo sarebbe stato da lì a pochi anni, ma conservavano il loro color noce naturale. Scompigliati nel vento, sembravano i rami di un giovane albero.

L'Alta Sacerdotessa apriva la strada, assieme a un gruppo di Anziane. Le seguivano le Jinelle, Jinian a vari gradi di Consapevolezza, come diceva Fakhri. Alcune avevano appena un accenno di capelli bianchi, altre invece avevano già la pelle di porcellana, candida quasi quanto la neve che ammantava l'altopiano dello Xīzàng. Gli elementali del fuoco spandevano la loro luce dall'interno delle braccia, della schiena e delle gambe delle Jinelle che ne padroneggiavano la forza, visibili all'occhio come lingue evanescenti attenuate dalla barriera della pelle.

- Mamma, tra quanto arriviamo al santuario? - chiese a Hediye.

La donna le sorrise e le tirò indietro la fascia colorata sui capelli. Arsalan l'aveva barattata per la borraccia che aveva cucito con le sue stesse mani in una delle piccole oasi in cui si erano fermate all'inizio del loro viaggio. Era di un tessuto rosso, cucito con alcune strisce gialle e arancioni.

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