2 Reid

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Alle cinque in punto abbandono l’azienda per tornarmene finalmente a casa. Potrei staccare anche prima, non ho un cartellino da timbrare e la maggior parte dei dipendenti che coordino va via alle due del pomeriggio, ma sono il responsabile del reparto e l’azienda porta il nome della mia famiglia, non posso fare come mi pare. Attacco alle cinque del mattino – eh sì, che vita di merda – e copro solitamente un turno di dodici ore. Perché? Perché le cose preferisco farmele da solo e non delegare ad altri, solo se ci metto io le mani sono sicuro della riuscita. Sono pignolo? Perfezionista? Un rompipalle? Sì a tutte e tre le cose, ma mi vado bene così. Non ho scelto questo lavoro e a dire il vero, quando ero un ragazzo non ero neanche sicuro che avrei lavorato in azienda. Mi piaceva lo sport ed ero bravo e ho provato a frequentare l’università di Galway per continuare ad allenarmi. Volevo fare il giocatore di GAA, entrare in una squadra medio-bassa – la seconda divisione mi sarebbe andata benissimo – divertirmi per qualche anno e poi, forse, mettere la testa a posto, trovare qualcosa da fare di più duraturo, ma non ero un grande genio e dopo un anno ho scoperto che non ero poi così bravo neanche a giocare. E poi la mia famiglia era già in subbuglio: mia sorella non faceva che scappare e andare fuori di testa; mio fratello, poi, se la faceva con Brian Veldons, compagnia che a mio padre non piaceva affatto. Mia madre insegnava in una scuola di danza a Clifden, mio padre era sempre in azienda… Insomma, ci voleva qualcuno che tenesse la famiglia insieme. Indovinate a chi è andato questo grande compito di responsabilità? Sono tornato a casa perché la mia famiglia aveva bisogno di me. Da non credere, vero? Quando ho rimesso piede a Letterfrack in azienda era disponibile solo un posto al reparto materie prime: cercavano qualcuno che si occupasse dei primi carichi di farro del mattino. Ho cominciato così, dal basso, come tutti noi. Mio padre non ci ha mai regalato nulla, anzi, si aspettava il doppio dell’impegno non solo per dimostrare che anche noi meritavamo di stare in azienda, ma anche perché voleva vedere in noi l’attaccamento al marchio di famiglia e alla tradizione. Se vi devo dire che all’ora m’importava direi una cazzata. Non me ne fregava assolutamente nulla, lo facevo solo per tenere tutti tranquilli. Ora no, ora è diverso. Ora il sangue Johnston pulsa con prepotenza nelle mie vene, a ricordarmi ogni giorno chi sono e chi devo essere. Non è un obbligo, è semplicemente un dato di fatto. È la mia vita. Sono diventato il responsabile in tre anni e ora gestisco questo reparto e butto un occhio sugli altri, sempre per la storia che è meglio farsele da solo le cose se vuoi che riescano alla perfezione. Ellie dice che sembro nostro padre e forse un po’ ha ragione, ma solo per certi aspetti, alla fine è lei quella che vi somiglia di più, a parte per la sua smania di andare sempre controcorrente. Io non vado controcorrente, non perdo tempo a inseguire cause perse in partenza, a parte quelle che riguardano Alex Brennan, mio cognato e amico da tempi immemori, ma solo perché mia sorella ha deciso di salvarlo da se stesso sposandolo. Alex è un distillatore, ha iniziato insieme a me a lavorare in azienda: mentre io ero impegnato col mio unico anno universitario lui frequentava uno dei nostri corsi per distillatori. Ellie, invece, in azienda non ci voleva stare, non alle condizioni di nostro padre. Ha lavorato per anni per Mark Nolan, ex socio di mio padre e padre di Chase, ex ragazzo di Ellie. La conoscete già la storia del mancato matrimonio, vero? Non c’è bisogno che vi rinfreschi la memoria e che vi ricordi cosa ha fatto Chase il bastardello o cosa mia sorella ha fatto, per non parlare di Brennan. Ora Ellie ha messo su un’azienda tutta sua, esporta il marchio di famiglia all’estero, ma ehi, lei è una tosta, nulla a che vedere con me e Shane che siamo i fratelli scemi. Shane lavora al reparto imbottigliamento, lui ha iniziato subito a lavorare qui, appena terminata la scuola e anche per lui ci sono voluti anni di gavetta. Ora fa coppia fissa con il suo barista preferito – non il mio, sia chiaro, io ho sempre preferito Brian. A quanto pare ci hanno messo diciassette anni a capire che era ora di mettere le cose in chiaro, senza contare Alex che ci ha messo quindici anni per dichiararsi a Ellie. Siamo messi un po’ di merda, dite? La mia vita è costellata di personaggi improbabili e per lo più indesiderati, ma devo tenermeli, perché sono di famiglia, perché siamo una cittadina di 192 abitanti e perché sono vecchio e non mi va di cercarmene di nuovi. Quindi mia sorella Ellie ha sposato Alex Brennan, amico d’infanzia e distillatore nell’azienda di famiglia. Mio fratello Shane sta con Andy Veldons, anche lui amico d’infanzia e proprietario del locale che porta il suo cognome in cui andiamo tutti i giorni a pranzare e tutti i venerdì sera a suonare. Chi resta? Ah certo, restiamo io e Brian Veldons, ma non fatevi strane idee, non saremo mai una coppia noi due. Insomma, la cerchia è stretta e soffocante, non è possibile uscirne e non è possibile far entrare qualcun altro perché siamo questi da oltre trent’anni e perché siamo anche i più giovani della cittadina, a parte le nuovissime leve che sono ancora a scuola. Ho già detto che vita di merda? Infilo la giacca e lascio il reparto ormai vuoto, spengo le luci e chiudo le porte di legno, facendo scorrere la catena intorno alla serratura. Eh sì, io sono ai piani bassi, bassissimi, più in basso di me c’è solo la warehouse, ma lì sono contenute le preziose botti di mio padre, senza contare che in pratica ci ha stabilito il suo ufficio, quindi non può essere considerata inferiore. Cammino verso il parcheggio e apro la portiera del mio pick up, mi siedo all’interno e metto in moto diretto a casa. S.t.r.o.n.z.a.t.a. Ci avete creduto, eh? Non posso chiudere la giornata se non mi occupo della mia consegna speciale, perché quello è l’unico momento in cui mi dimentico della mia vita e in cui posso immaginare di vivere la vita di qualcun altro.

the good manDove le storie prendono vita. Scoprilo ora