48 Reid

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“Allora? Com’è andata?” “Che?” “La cena con la mamma.” “Non dovresti fare i tuoi dieci giri del campo?” Indico gli altri ragazzini che stanno facendo più o meno il loro dovere. “Cosa c’è? Ora fai il timido?” La guardo sollevando un sopracciglio. “Andiamo! Dimmi qualcosa!” “Non ne hai parlato con tua madre?” “Non ce n’è stato il tempo.” “Be’, non sarò io a fare la spia.” Incrocia le braccia e mi guarda furba. “Quindi qualcosa c’è stato.” “Credo davvero che dovresti parlarne con tua madre di queste cose.” “Ma io le voglio sentire da te.” “Mi dispiace deluderti ma da questa bocca non uscirà nulla.” “L’hai almeno baciata?” “Sam!” “E dai, solo questo!” “Non ti dirò niente.” “Tanto lo so che è successo qualcosa.” “Stai usando la tattica del io lo so che tu sai che io so?” “Che?” “È uno dei giochini psicologici preferiti di mia sorella, ma lasciamo perdere.” “Quindi non me lo dirai.” “Non ci penso proprio.” Sam riflette per alcuni secondi. “Tanto lo so che è successo qualcosa, non so bene cosa, ma la mamma stamattina sorrideva a tutti.” Devo trattenermi io dal sorridere ora o mi avrà in pugno. “E di solito non lo fa?” Chiedo discretamente vago. “Sì, per gentilezza, ma oggi lo faceva perché lo sentiva.” Trattenermi dal commuovermi è più complicato del trattenermi dal sorridere, anche perché non sono abituato a questo tipo di emozioni. “Non sei troppo giovane per capire certe cose?” Si fa seria tutto a un tratto e poi rivolge lo sguardo verso il campo, dove la mia squadra è stata dimezzata dal terzo giro di corsa. “Quando vedi tua madre triste per tanto tempo e poi all’improvviso la vedi felice, capisci tante cose, coach.” Sto abboccando, lo so, ma posso stare zitto dopo le sue parole? “Non era felice?” “Non me lo ha mai detto, ma io lo sentivo. Ogni volta che…” Si trattiene dal parlare. “Ogni volta…” La incito preoccupato. “Mio padre non si fa vedere da un bel po’.” Stringo forte la cartellina che ho tra le mani. “Ha chiamato un paio di volte in tutti questi anni e la mamma ha provato a chiedergli di venire a salutarmi, a vedere una delle mie partite.” Mi schiarisco la voce. “E non è venuto.” Nega con la testa. “Da quanto non lo vedi?” Scrolla le spalle. “Credo da quando avevo tre anni. Io non me lo ricordo neanche.” Ce la devo fare. “Ci sono delle foto in una scatola ma in nessuna è con me.” Si volta di nuovo a guardarmi. “Devo chiederti una cosa e vorrei che tu fossi sincero.” “Ci proverò.” “Ho sentito delle cose.” “Che tipo di cose?” “Delle cose su mio padre.” “Dove le hai sentite?” “Il nonno e zio Silas ne stavano parlando.” “Hai origliato?” “Non si erano accorti che io fossi entrata nella stanza.” “E cosa dicevano?” Glielo chiedo, perché è meglio che qualcuno sappia cosa sta girando nella testa di questa ragazzina. “Non ho capito bene di cosa parlavano, ma sono sicura che non era niente di buono.” “Sam…” “Mio padre ha fatto delle brutte cose?” I suoi occhi spaventati smuovono qualcosa di pericoloso nel mio petto, la verità è che lei smuove tutto e non solo nel mio petto. Sam ha sconvolto la mia vita da quando è venuta al mondo. E io ero lì, sapete, ero in ospedale ad attendere la sua nascita. Lui no, lui era un coglione inutile anche allora. Ma io non avrei mai permesso che Sloan si sentisse sola, anche se in ospedale c’era la sua famiglia, io volevo esserci per lei, volevo che sapesse da allora che su di me avrebbe sempre potuto contare. E l’ho vista, la piccola Sam, il suo primo giorno di vita. E mi sono innamorato della mia piccola Sam, il giorno in cui l’ho vista tra le braccia di sua madre. E ci ho sperato che lui non si facesse più vivo e ho immaginato me accanto a loro, ma le cose non vanno mai come desideri. “Non posso rispondere alla tua domanda, non è compito mio.” Le dico la verità, non sta a me raccontarle che pezzo di idiota sia suo padre. “Non hai provato a parlarne con tua madre?” Scuote la testa. “Non voglio rattristarla.” “Sono sicuro che te ne parlerà lei quando sentirà che sei pronta.” “Forse…” Infila le mani nelle tasche della sua tuta e si volta di nuovo verso il campo. “E forse alla fine non le voglio neanche sapere.” “Allora perché me lo hai chiesto?” “Non lo so, a volte voglio capire, altre invece…” Solleva lo sguardo su di me. “Tu non te ne andrai, vero?” A questa domanda posso rispondere. “Mai.” Annuisce e poi guarda di nuovo i suoi compagni. “Meglio che vada a riscaldarmi, domani devo essere in forma.” “Assolutamente.” “Grazie, coach.” “E di che?” “Perché sei sempre sincero.” Si avvia verso i suoi compagni correndo mentre io resto impalato a fissarla, con la netta sensazione di aver appena ricevuto un colpo in pieno stomaco. “Sveglia, la ragazzina.” Una voce poco gradita alle mie spalle. “Ti sei messo a fare lo spione, adesso?” “Sono qui per l’allenamento.” “I posti riservati ai genitori sono quelli” indico un luogo immaginario alla mia sinistra. Non ci sono gradinate né panchine, le partite si guardano a bordo campo in piedi. “E quelli riservati agli amici?” Alzo gli occhi al cielo anche se non può vedermi. “Le vuoi bene.” “Io non voglio bene a nessuno.” “Ne vuoi anche a me.” “Per favore!” “E ne vuoi anche a sua madre.” “La vuoi vedere la partita di tuo figlio, domani?” “Non mi colpiresti mai. Il sangue, sai… Gli svenimenti.” “Potrei fare uno sforzo per te.” “Non sei venuto a suonare, ieri.” “E con questo?” “Che impegno avevi?” “Credi davvero che te lo dirò?” “Sai che non sarò l’unico a farti questa domanda.” “A nessuno interessa quello che faccio, Alex, solo a te, ma questo perché sei un impiccione. Tu ed Ellie siete fatti l’uno per l’altra,” “Questo è sicuro” dice convinto. “E tu e la tua albergatrice?” “Potrei anche colpirti senza provocare il minimo schizzo di sangue.” Alex se la ride e poi finalmente cambia argomento. Da solo non è un problema, posso gestirlo, il guaio è quando si mette di mezzo mia sorella. “Vieni a cena, stasera?” “Che si mangia?” “Vieni solo per il cibo?” “Non ho altri motivi.” “Non lo so, cucina la mamma, saremo a casa Brennan.” “In questo caso, non posso certo dire di no.”

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