32 Reid

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“Va meglio?” “Mi hai aspettato fuori dalla porta?” Scrollo le spalle mentre lei si appoggia alla stampella ed esce dal bagno. “Mi sento un po’ meglio, grazie.” Ci dirigiamo lentamente di nuovo in salotto. “Sarà merito delle mie cure miracolose” dico mentre l’aiuto a sedersi sul divano. “O forse sarà stata la piacevole compagnia.” “Non stai meglio per niente” le tocco la fronte che ora è più fresca, ma il suo viso mi dice che si sente ancora spossata. Aveva bisogno di rinfrescarsi e di cambiarsi ora che si sentiva meglio, ha detto. Le ho vietato di prendere altra acqua anche se dalla sua doccia, lei ha riso. Si è liberata dei vestiti e si è infilata una maglietta e una tuta e si è legata i capelli. Dio, è ancora più bella, appena sveglia, sul divano di casa sua, con indosso una vecchia maglietta del Galway GAA e con l’espressione di chi ha il timore che quello che è appena accaduto sia stato solo un sogno. Non è mai stata più vera di così, con le sue paure e il suo imbarazzo, con la voglia di lasciarsi andare a me e con il timore che io veda tutto, che veda lei e che io non voglia vedere altro che questo per tutta la vita. Le siedo accanto e faccio scivolare la mano sul suo viso, accarezzandole con il pollice il labbro inferiore. “Voglio baciarti, Sloan” le dico sulle labbra, prima di premere sulla sua bocca. “E ho voluto baciarti tante volte, potrei elencartele tutte ma sembrerei uno spostato e non è il caso adesso di spaventarti” ride e io con lei, “ma non l’ho voluto mai così tanto come in questo momento.” “Perché? Cos’ha di speciale questo momento?” Prendo il suo viso tra le mani e la guardo. “Perché adesso lo sento.” “Cosa?” Mi avvicino di nuovo e stavolta premo più a fondo mentre le sue mani si aggrappano ai miei polsi. Mordo la sua bocca con le labbra e prolungo questo contatto che sogno e temo da undici anni, dalla prima e l’ultima volta in cui ho potuto sentire le sue labbra contro le mie. “Perché adesso sento che puoi essere mia per davvero.” Afferra il mio viso tra le mani e mi guarda, nella penombra del suo salotto vedo i suoi occhi accessi come non mai. Non è spaventata da ciò che le ho detto. “Non lo hai ancora capito” dice mordendosi poi il labbro. “Cosa?” Chiedo in ansia. “Lo sono sempre stata, Reid.” La guardo quasi terrorizzato mentre nel mio petto sento la rivoluzione già in atto, la prima bomba è esplosa facendo un fracasso infernale, ma non ho tempo per constatare i danni, sono troppo impegnato a sentire fino alle ossa ogni sillaba che viene fuori dalle sue labbra. “Non sono mai stata di nessun altro” la sua voce trema di agitazione e di aspettativa, un’aspettativa che io colmerò fino all’orlo. La reazione che scatena in me la sua confessione è qualcosa di inspiegabile e di incontenibile che coinvolge ogni muscolo e nervo del mio corpo. Premo di nuovo sulla sua bocca e stavolta prendo, subito, tutto quello che posso. Prendo il suo respiro, le sue labbra, la sua paura e il suo desiderio. Prendo i suoi brividi e i suoi lamenti. Prendo il suo cuore e lo tengo per me, perché d’ora in avanti non potrà essere di nessun altro. Le mani dietro la nuca a tenerla ferma contro di me, la lingua che esplora, l’eccitazione che sale, la voglia di dimostrarle quanto io desideri averla che esplode senza controllo. La spingo sul divano e la sovrasto con il mio corpo, il mio ginocchio tra le sua gambe, le sue mani aggrappate alle mie braccia. “Reid…” Ansima mentre lascio la sua bocca per scendere lungo il collo. Lo mordo piano, la mia mano lungo il suo fianco e poi sotto la maglietta. Sono eccitato come un ragazzino, ho qualcosa pronto a fare danni nei miei pantaloni e non ho alcun controllo su quello che voglio. La mano scivola lenta lungo il suo addome mentre Sloan inarca la schiena verso di me, percorro la sua pelle sentendola bruciare sotto le mie dita e quando arrivo a circondare il suo seno, mi accascio sul suo collo senza fiato. E non ho ancora fatto nulla, neanche il 5% di quello che ho immaginato di poterle fare in questi anni. Avete una vaga idea di cosa sto trattenendo e di cosa accadrà quando non sarò più in grado di farlo? Torno a baciarla, perché ho appena iniziato e ho già la certezza che d’ora in avanti sarà un cazzo di problema perché potrò più farne a meno. La bacio come se non fosse mai stata di qualcun altro. La bacio come se ogni secondo che prendo da lei non sarà un giorno un secondo di più che toglierò a me. E la tocco. Dio, se la tocco. E non ho idea di come farò a non toccarla ogni minuto della mia giornata. E ho il terrore di come farò quando sarà lei a non volere che io la tocchi ancora. E adesso sono sopraffatto, dalla voglia che ho di andare avanti, di prendere senza esitazione e quella voce nella mia testa che mi chiede di calmarmi, respirare e rallentare. Mi stacco da lei in affanno e poso la fronte sulla sua, la mia mano ancora sul suo seno. “Cosa?” Chiede in ansia. “Non così, cazzo.” Ride. Per fortuna la prende dal verso giusto. “E io lo vorrei anche così, cazzo.” Ride ancora e io la bacio di nuovo, accarezzando il suo seno da sotto la maglietta e facendola sospirare. “Dio, non fare così” catturo la sua bocca con i denti e il suo sospiro diventa subito un lamento. “Ti vorrei in qualunque modo, ma vorrei che fosse diverso e poi, sei malata, cazzo!” Scivolo lentamente di lato portandola ad appoggiarsi a me. “Dimmi solo una cosa.” “Spara.” “È una cosa importante.” Si solleva appena per guardarmi. “Dimmi che ti fidi di me.” Il suo sguardo si addolcisce. “Dimmi che lo sai che faccio sul serio.” “Questo non me lo avevi detto.” “Questo perché non mi piace parlare troppo, vedi? Vado subito ai fatti.” “Non mi dispiace” dice, nei suoi occhi ancora il desiderio. “È importante che tu sappia che non ho aspettato tutti questi anni per andare via domani mattina, Sloan. Io non sono un’avventura o un passatempo. Non potrei mai così.” “Cosa stai cercando di dirmi?” “Che io voglio tornare tutte le notti.” La sento tremare contro il mio petto. “Voglio che tu aspetti me tutte le notti.” Sorride come se non aspettasse di sentirmi dire che questo da tutta la vita. “E voglio che non pensi ad altro tutto il giorno.” “Siamo un po’ pretenziosi per essere uno che ha fatto finta di nulla per dieci anni, Johnston.” “Farò in modo di farmi perdonare” assaggio ancora le sue labbra portandomi via qualsiasi risposta avesse in mente. E poi restiamo così, abbracciati sul suo divano, nel silenzio e nel buio del suo salotto, ad ascoltarci respirare uno accanto all’altra per la prima volta. Resto fino all’alba, poi le preparo qualcosa per la colazione e glielo lascio in caldo; le scrivo un biglietto in cui le dico che tornerò dopo il lavoro e che porterò la cena per tutti e tre e poi me ne torno a casa, per farmi una doccia veloce e andare al lavoro, pronto ad affrontare un’altra delle mie giornate di merda, ma con la consapevolezza che una volta portato a termine il mio lavoro, ci sarà qualcuno ad aspettare il mio ritorno.

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