Dopo la notte con i miei fratelli e la colazione tutti insieme e dopo aver parlato con mio padre del futuro dell’azienda, affronto la domenica al campo meglio di quanto credessi. Non me la prendo neanche per la sconfitta. Certo, vedere Sloan e fingere che niente sia accaduto non è una passeggiata, non so neanche se sono così bravo a raccontare storie, ma quando mi chiede se a casa le cose si sono sistemate mi trovo a darle una risposta affermativa, perché per fortuna è davvero così. Per farmi perdonare e per sentirmi io meno una merda, mi spingo ancora più in là, chiedendole se posso portare Sam al Veldons con me per il pranzo post partita. “Davvero?” “Certo, ci sono tutti i ragazzi della squadra, fa bene legare anche fuori dal campo.” “Ma sarebbe lì con te.” “Esatto.” “Non credi sia un po’ strano?” “E perché? Ormai tutta la città è a conoscenza della nostra tresca.” “Abbiamo una tresca?” “Una roba del genere.” Ride. Per fortuna. “Sei davvero sicuro?” “Assolutamente.” “Tu cosa ne dici, tesoro?” Chiede a Sam quando si avvicina a noi. “Ti va di andare con Reid al pranzo post partita?” “Sul serio?” Annuisce. “Sì!” Abbraccia sua madre, poi corre ad abbracciare me. “Grazie, grazie, grazie!” Mi stringe forte. “Vado a dirlo subito a Justin.” “Ecco, sempre di mezzo. Sempre più Brennan.” Sloan ride e si avvicina a me. “Grazie, Reid.” “Prego.” “Allora io vado.” “Te la riporto in hotel subito dopo pranzo.” Mi sorride e si allontana verso il parcheggio. “Ehi!” La chiamo. “Stai attenta. Sì, insomma…” Allargo le braccia e lei scuote la testa confusa. “Chiamami quando sei in hotel, okay?” “Va tutto bene?” “Alla grande, ma tu chiamami lo stesso.” “Ti manderò un messaggio.” “No” la interrompo. Il cuore pompa con una forza disumana. “Chiamami. Devo sentire la tua voce.” Al locale non sono loquace per niente. Non ascolto, non rispondo, non sono presente. Non faccio altro che tenere d’occhio Sam, come se avessi paura che possa accadere qualcosa, che sparisca davanti i miei occhi, che qualcuno possa farle del male. Non è una sensazione nuova per me ma negli anni l’avevo messa a tacere, convinto di aver provveduto al problema, di aver risolto ogni cosa. A quanto pare dovevo estirparlo alla radice. “Se mi siedo accanto a te prometti di non picchiarmi?” Sullivan si accomoda sullo sgabello vicino al mio. “Non posso assicurartelo, ma tacere potrebbe salvarti la vita.” “E che non lo so? Non vedi che nessuno si è avvicinato a te oggi?” Sollevo la testa dal bancone e lo guardo. “Non hai la faccia di uno che vuole essere infastidito.” “E da quando usate un occhio di riguardo verso il sottoscritto?” “Io l’ho sempre usato.” “Ruffiano.” “Posso fare qualcosa per te?” “No.” “Perché?” “Perché nessuno può fare niente.” “Ti avevo detto più o meno la stessa cosa quando sei venuto da me qualche anno fa.” Espiro pesantemente. “Ma tu non mi hai dato ascolto. Mi hai tirato fuori dai guai, mi hai dato una ripulita e mi hai aiutato a riavere il mio lavoro.” “Io ti ho dato solo un calcio in culo, il resto lo hai fatto tu.” “Sei stato l’unico a essersi accorto di quello che mi stava accadendo. Dopo la morte di mia moglie ci sono state visite, teglie di lasagne nel congelatore e tante belle parole, ma dopo due settimane sono rimasto da solo con il mio dolore.” “La gente non fa mai caso al prossimo” dico tra i denti, al ricordo di come ho trovato Sullivan. “Tu non sei come gli altri, però.” Perché io lo sapevo cosa stava passando. “Mi hai tolto la bottiglia di mano, mi hai convinto a uscire di casa, mi hai aiutato a tornare in me.” “Dove vuoi arrivare?” “Da nessuna parte, voglio solo che tu sappia che se hai bisogno di qualsiasi cosa, puoi contare su di me.” “Non mi devi niente.” “Questo lo dici tu” si alza e posa una mano sulla mia spalla. “Io ti devo molto di più di quanto tu possa immaginare.” Mi lascia solo al bancone dove magicamente sembrano scomparsi tutti, a pensare a lui, alla sua storia, a mia madre, ai miei fratelli, alla mia vita e a lei. A quello che ho fatto, a quello che rifarei e a quello che sono disposto ancora a fare.
“Grazie per questo, coach.” “Justin Brennan ha tenuto le mani a posto?” Scoppia a ridere mentre ci dirigiamo verso il mio pick up. “Guarda che ero serio.” “Sei antico.” “Antico?” Mi fermo nel bel mezzo dello spiazzale. “Io?” Chiedo indignato. Sam mi precede e si ferma accanto alla vettura, poi si volta di nuovo verso di me. Non faccio in tempo ad avvertirla. “Sam.” La sua voce alle spalle la fa girare di scatto e urlare nello stesso momento. La raggiungo veloce e lo spingo con forza facendolo cadere sull’asfalto. “Che diavolo di problema hai, Johnston?” “Stai lontano da lei.” “È mia figlia e posso vederla quando voglio.” Si rialza e si avvicina di nuovo a lei mentre io mi metto di mezzo. “Te lo dico di nuovo, non è la tua famiglia.” Sam si aggrappa alla mia giaccia. “La stai spaventando.” “Tu la stai spaventando, ti pare il modo di aggredire suo padre?” “Io non ho aggredito nessuno.” “Sam” tende una mano verso di lei. “Sono io, non mi riconosci?” Sam resta immobile dietro di me. “Non ci vediamo da un po’, è vero, ma tua madre mi manda sempre delle foto, le ho tutte sul cellulare.” “Ti prego, voglio andare dalla mamma” Sam dice alle mie spalle. “Certo, tesoro, ti ci porto subito.” “Sam, per favore…” “Lasciala stare.” “Non puoi impedirmi di parlarle, né di vederla.” “Questo è da vedere.” “Coach.” Sam mi chiama ancora tirandomi la giacca. “Andiamo.” L’abbraccio per le spalle e la porto dal lato del passeggero, la faccio salire e le allaccio la cintura, poi faccio il giro dall’altra parte. “Non sarà mai figlia tua.” Lo dice con l’intenzione di provocare la mia reazione. Apro lo sportello del pick up mentre lui si avvicina. “L’ho avuta prima di te ed è qualcosa che non potrai cancellare mai, Johnston.” Mi volto di scatto. “Coach…” Sam mi chiama dall’auto. Lui se la ride, prima di ripeterlo. “Coach.” Lo colpisco così forte che qualcosa parte anche nella mia mano oltre che nel suo naso. Sento solo le urla di Sam, quelle di qualcuno che corre per fermarmi e poi la voce di Andy che mi ordina di infilarmi nel pick up immediatamente e di portare Sam da sua madre. “Ci penso io qui.” Chiude lo sportello e mi guarda lasciare lo spiazzale, con i singhiozzi di Sam nelle orecchie e con la consapevolezza che la fine è arrivata e che io non potrò fare più nulla per evitarlo.
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the good man
RandomC'era una volta un uomo burbero e solitario che trascorreva le sue giornate a osservare il mondo circostante senza attirare mai gli sguardi su di sé. C'era una volta un uomo che se ne stava in disparte a immaginare di vivere la vita di qualcun altro...