27 Sloan

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Silas mi ha convinta a prendere un’ora libera questa mattina. L’hotel è quasi vuoto e l’emergenza idraulica è rientrata. Non ci sono tour in programma di settimana in questa stagione e non ci sono escursioni a cui fare da guida, quindi gli è toccato stare alla reception con me e mi ha detto senza mezzi termini di togliermi di torno perché i miei continui sospiri lo infastidivano. Come dargli torto, ma come fare a non sospirare dopo il nostro incontro di ieri? A dire il vero sto sospirando da quando l’ho trovato a dormire sul divano di casa mia, ma dopo la sua fuga del mattino dopo mi ero quasi rassegnata a non farlo più. E poi c’è stato il magazzino. Il buio, il suo respiro e la sua domanda. Non volevo tenergli nascosto il fatto che il martedì non dovrei trovarmi all’hotel all’ora della sua consegna, ma lui non ha mai chiesto che orari facessi e io non ho trovato un motivo per metterlo a conoscenza della cosa. Non potrei mai rinunciare alla sua consegna. È il momento della giornata che preferisco e non ci rinuncerei per nulla al mondo. E ora mi ritrovo sulla spiaggia di Glassilaun a fissare le onde. È uno dei miei posti preferiti. Ci vengo da anni, da quando ho iniziato a poter praticare dello sport e il surf è quello che preferisco, forse perché quello che tutti mi dicevano sarebbe stato impossibile per me ma io, sapete, non do ascolto a quello che la gente dice. Ho imparato molto presto a chiudere gli occhi per non vedere i loro sguardi o a infilare gli auricolari alle orecchie per non sentire le loro stupide battute. Si impara, con il tempo e l’esperienza. Si diventa più duri, si impara a trattenere le lacrime. Con il tempo si diventa più forti e caparbi, si diventa coraggiosi e si prendono delle decisioni che cambieranno per sempre la tua vita. E la mia vita è cambiata, in diversi modi, e a oggi non mi pento delle decisioni che ho preso, neanche delle più dolorose, perché mi hanno portato a essere quella che sono e ad avere accanto la mia preziosissima Sam. Non è solo per il surf che amo questo posto. Amo stare in mezzo alle onde, con il vento sul viso e l’acqua che ti attende, amo il senso di libertà che si prova a respirare in mezzo all’oceano e quello di potenza che ti percorre corpo e anima quando riesci a stare in piedi sulla tua tavola e a cavalcare anche la più impossibile delle onde. E poi la pace di questo posto, i gabbiani che camminano sulla sabbia, la bellezza mozzafiato del paesaggio che ti circonda. È il posto migliore per lasciare i tuoi pensieri liberi di farsi trascinare dalla marea che nonostante il vento contrario, la tempesta e la paura di non farcela, troveranno sempre il modo di tornare a riva. Ho sempre in auto la mia borsa da surf e sul tettuccio una tavola di emergenza. Non ho molto tempo libero e non posso organizzare la mia vita in anticipo, quindi approfitto di momenti come questo per correre qui e stare un po’ sola con me. M’immergo in acqua quando ormai sta già piovendo, ma non posso farmi fermare da due gocce, in fondo, sono già in acqua e poi, noi abitanti del Connemara a certe cose non ci badiamo. Quando ami l’oceano lo ami tutto l’anno, non c’è una stagione o una temperatura ideale, sole o tempesta che tenga. Sei con le tue onde e non hai bisogno di altro. Resto in acqua per un po’, le gambe immerse, il freddo che inizia ad avvertirsi anche attraverso la muta, la pioggia che ormai batte sul mio viso e che si confonde con gli schizzi d’acqua che il vento solleva, la sensazione di poter avere il controllo su di me, su questi assurdi sentimenti che provo, sul fatto che quando lui mi guarda io non vedo altro, che quando lui mi parla io non sono in grado di distingue altro suono e che quando lui distrattamente mi tocca, io non sono più capace neanche di ricordare come fosse essere toccata da un altro. Mi stendo sulla tavola e faccio alcune bracciate per raggiungere l’onda che ho appena visto formarsi e mi dico che posso farcela, posso cavalcarla, posso salire in piedi sulla tavola e restare in equilibrio fino alla riva, come posso avere la forza di provare ad affrontare ciò che mi spaventa così tanto e accettare il rischio di perdere quello che abbiamo, o per lo meno di avere la forza di lasciar andare per sempre questo sogno e di accettare che Reid Johnston non farà mai parte della mia vita nel modo che vorrei.

Quando rientro il albergo sto ancora tremando. “Cosa diavolo ti è successo?” Silas si alza subito in piedi. “Sei stata sotto l’acqua?” “Sono andata a fare surf” dico prima di starnutire. “Ti sembra il tempo adatto per andare al mare?” “Tu mi hai detto di andare a rilassarmi.” “Pensavo a una tazza di tè e un libro, non pensavo andassi a fare surf! Guardati, hai ancora i capelli bagnati” mi fa notare, come se non lo sapessi. “Ho fatto una corsa, credevo di poterli asciugare in una delle camere libere.” Silas scuote la testa poi si volta per prendere una chiave dalla bacheca. “La 118 è libera.” “Grazie” prendo la chiave e mi avvio verso gli ascensori prima che i sintomi dell’ipotermia arrivino fino al cervello. “Almeno è servito?” Mi chiede, sporgendosi dal bancone. Non gli rispondo, mi infilo in ascensore che mi porta fino al secondo piano, percorro il corridoio sentendo i miei stivali scricchiolare sulla moquette che ricopre il parquet e poi infilo la card nella serratura. Apro la porta e corro verso il bagno, mi sfilo il cappotto e il cappello e prendo il phon attaccato alla parete, cercando di asciugarmi alla svelta e sperando che non sia troppo tardi perché sento che mi sto già ammalando. Forse non è stata una grande idea e non parlo di andare a fare surf, quella è sempre un’ottima idea, ma quella di fermarmi al supermercato sulla via del ritorno e quella di passare dal benzinaio ma ehi, non ho così tanto tempo a disposizione e devo arrangiarmi in qualche modo. Lascio la stanza e torno al piano terra, ma non appena le porte dell’ascensore si aprono capisco subito che qualcosa non va. Silas mi viene incontro e mi sorregge per un braccio. “Stai male.” “Ho preso solo freddo” minimizzo. “Sei un’incosciente.” “Davvero vorresti dare lezioni di maturità a me?” “Coraggio, vieni a sederti” mi aiuta ad accomodarmi sulla poltrona al banco della reception e poi si accovaccia davanti a me. “Vuoi che ti porti qualcosa? Un tè, magari?” “Non voglio niente, ho solo freddo.” “Questo perché hai la febbre” dice, sfiorandomi la fronte. “Non è possibile, io non mi ammalo mai.” “Stavolta non ti è andata così bene” si solleva e prende il telefono. “Che stai facendo?” “Chiamo la scuola, avviso che oggi andrò io a prendere Sam.” “Cosa? E perché?” “Perché tu adesso te ne vai a casa e ti metti sotto le coperte, non senza aver preso del paracetamolo o qualcosa del genere.” “Non sto tanto male, vedrai che è solo un raffreddore e un po’ di debolezza.” “Ragion per cui ora ti porto e casa e ti infilo a letto. Poi andrò a prendere Sam e la porterò da me, così tu te ne starai bella tranquilla a riposo.” “Non è necessario.” “Passeremo stasera per portarti qualcosa da mangiare e per assicurarci che tu sia ancora viva.” “Posso pensarci io a mia figlia, anche se sto male, l’ho sempre fatto” dico orgogliosa. “Lo so, ma non accade nulla se per una volta lo fa qualcun altro, no? E poi, dobbiamo recuperare la serata di lunedì.” Cedo perché sento già la mente annebbiata. “Fammi solo chiamare qualcuno che possa stare qui quindici minuti mentre ti accompagno a casa.” “Grazie, Silas.” “Dovere” mi sorride, prima che si metta a parlare al telefono con la segretaria della scuola e prima che io chiuda gli occhi e mi lasci andare alla debolezza che sopraggiunge impietosa.

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