8 Reid

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Quando imbocco il viale principale che porta alle abitazioni mi rendo conto che anche qualcun altro è appena rientrato a casa. Spengo il motore e apro lo sportello mentre si avvicina alla mia vettura. Questa giornata di merda non avrà mai fine. “Dove sei stato?” Chiede accendendo una sigaretta. “Che vuoi dire?” Chiudo lo sportello e mi avvio verso la porta di casa. “Un po’ tardi per staccare dal lavoro.” “Non c’è solo il lavoro, sai?” Infilo le chiavi nella serratura e apro la porta. Mi affretto a disattivare l’allarme e poi accendo la luce all’ingresso per rendermi conto che Andy ha già messo un piede dentro. “Non portare quella roba qui dentro.” Andy sbuffa e getta la sigaretta a terra. Lo guardo in cagnesco e lui alza gli occhi al cielo. “Dopo la raccolgo, tranquillo.” Fa per mettere anche l’altro piede dentro ma io blocco l’ingresso con il corpo. “Non mi pare di averti invitato a entrare.” “Non lo fai mai.” “Forse perché non amo compagnia?” Resto sulla porta con una mano contro il legno. “Mi stai per caso impedendo di entrare?” “Questo lo stai dicendo tu.” Andy mi scruta con attenzione. “Eri solo, quindi?” “Mmm?” “Hai appena detto che non ami la compagnia, devo dedurre che eri solo.” “Magari non amo la tua, ci hai mai pensato?” Andy sorride a mezza bocca. “Sono tornato a casa con l’intenzione di andare subito a letto visto che attacco tra cinque ore, non credevo di incontrare sul mio cammino il concubino di mio fratello.” Scoppia a ridere sguaiatamente. “Guarda che non volevo essere divertente.” “Ma lo sei, è questo il problema.” “Cercherò di esserlo meno.” “Ah… Reid, Reid, Reid.” “Oh… Andy, Andy, Andy.” “Da quanto ci conosciamo?” “Non lo so, ma sono troppo stanco per fare i conti adesso.” “Venticinque? Forse qualcosa di più.” “Sono sicuro che Shane ti stia aspettando” faccio per chiudere la porta ma la sua mano la blocca. “Che diavolo vuoi stasera da me?” “Voglio solo che tu mi faccia una promessa.” “Se serve per farti andare via…” “Promettimi che verrai da me prima di fare qualsiasi cosa. Non a cazzata già fatta.” Lascio andare il respiro e sposto la mano dalla porta. “Come lo sai?” “Quindi è vero.” “Sono solo delle voci.” Andy annuisce lentamente. “Ho sentito qualcuno che lo diceva stasera.” “Cazzo” mi strofino gli occhi con una mano. “Cercherò di indagare ma tu promettimi che per il momento te ne starai buono e che non prenderai decisioni affrettate.” “Io?” Mi guarda con condiscendenza. “Ricordami di andare a ubriacarmi al Cloverfox la prossima volta.” “Non ti azzardare a mettere piede in quel cazzo di locale di merda” mi minaccia con un dito. “Io vado dove mi pare, mangio dove mi pare, bevo dove non ci sono baristi impiccioni che pensano di sapere tutto della vita e che se la fanno con i fratelli altrui alle loro spalle.” La mascella di Andy si contrae. Forse ho esagerato. “Abbiamo finito? Posso andare a letto adesso?” Chiedo frustrato sperando di togliermelo dai piedi. “Ti tengo d’occhio” indica i suoi e poi i miei occhi. “Non farò niente, papà, te lo prometto.” “Non parlavo di quello.” Lo guardo. “Non ti azzardare a mangiare o bere da un’altra parte.” “Magari al Cloverfox non ci sputano nei piatti dei clienti abituali che ti aiutano a mandare avanti la baracca.” “Guarda che se ci vai lo vengo a sapere e poi non sarai più in grado di capire quante persone ci sputano nelle tue vivande e nei tuoi drink.” “Vivande? Sul serio? Siamo in una locanda dell’Ottocento?” “‘Fanculo, Johnston” dice tra i denti prima di voltarsi e allontanarsi veloce. Lo guardo dalla porta imboccare il viale che porta alla casa di Shane che ora condivide con lui e poi la richiudo. Non mi bastavano fratello, sorella e cognato, ci mancava pure il presunto cognato. Getto le chiavi che ho ancora in mano sul tavolo della cucina e lascio la giacca sulla sedia. Vado diretto verso la mia stanza deciso ad andarmene subito a letto per cercare di dormire almeno un paio d’ore, ma poi mi fermo davanti alla porta di fronte. Non dovrei, non stasera, non ha senso, sono appena stato lì, le ho appena viste ridere delle mie cazzate, le ho appena sentite parlare della loro vita come se fosse anche la mia. Eppure non mi basta. Poggio la mano sulla maniglia e spingo la porta, accendo la lampada da terra posizionata accanto all’entrata e poggio una spalla contro lo stipite, incrocio le braccia sul petto e mi concedo qualche minuto, forse anche qualcosa di più, in cui mi piace sognare che io non abbia detto no senza alcun motivo alla vita, per poi tornare a soffrire perché nessuno mi darà mai indietro quello a cui ho rinunciato.

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