18 Reid

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“Puoi smetterla per favore?” Le chiedo mentre cambia di nuovo stazione. “Non c’è niente di buono in questa radio del cavolo.” “Così mi sposti tutte le frequenze.” “Possibile che non posso neanche attaccarci il cellulare a questo coso?” “Che ci vuoi attaccare?” “Quanti anni ha questo catorcio?” “Ehi, non in sua presenza!” Accarezzo il cruscotto del mio povero e incompreso pick up. “Perdonala, è giovane, non sa quello che sta dicendo.” Sam si batte la testa con la mano e io rido sotto i baffi. “E poi, che cosa ci fai tu con un cellulare?” “Ci chiamo?” “E chi?” “La domanda più importante, qui, è se tu almeno ce l’hai un cellulare.” La guardo con la coda dell’occhio. “Ci chiamo la mamma, zio Silas, il nonno e…” “E…?” “Ci mando messaggi agli amici.” Inchiodo al semaforo. “Amici?” Scrolla le spalle e guarda fuori dal finestrino. “Con amici intendi Justin Brennan?” “Ho anche altri amici, coach.” Oh diavolo di una miseria. “E quanti?” “Non lo so, non li conto mica.” “E sono tutti maschi?” Si volta verso di me corrucciando la fronte. “Dio mio, coach, sei molto più vecchio di quello che pensavo.” Probabilmente ha ragione, ma non è questo il momento di rivendicarla. Qui stiamo parlando di una ragazzina che ha degli amici a cui manda messaggi. “Tua madre lo sa che mandi messaggi a sconosciuti?” Scoppia a ridere abbandonando la schiena contro il sedile. “Sei forte, coach.” “Non cambiare argomento e non usare le adulazioni con me, non attaccano.” “E cosa funziona?” “Che vuoi dire?” “Cosa dovrebbe fare una donna per conquistarti?” Mi volto di scatto verso di lei perdendo quasi il controllo dell’auto. “Fai sul serio?” “Chiedevo… Sono curiosa.” “Non hai detto che sono troppo vecchio?” “Magari per qualcuna no.” Stringo forte le mani intorno al volante mentre imbocco la strada sterrata che porta alla sua casa. “Magari a qualcuna potresti interessare.” Parcheggio e spengo il motore, poi mi volto verso di lei. “Potrei anche darti una mano se tu ne dai una a me.” “Darmi una mano a fare cosa?” Mi guarda inclinando la testa. “Lo so che ti piace.” “Che? Cosa?” “E per me va bene, sì, insomma, se ti stai facendo dei problemi…” “Ferma subito” alzo le mani. “Stai dicendo quello che penso?” “Andiamo, coach! Cosa ti ci vuole per darti una mossa?” “Stai per caso cercando di sistemarmi?” “Sto cercando di aiutarti.” “Io non ti ho chiesto proprio niente.” Apro la portiera e scendo dal pick up, Sam mi segue subito dopo. “Ma io ti voglio aiutare lo stesso.” Mi volto verso di lei. “Perché?” “Perché so che è la cosa giusta da fare.” “Cosa? Aiutare un povero anziano?” “Vedere la mamma felice.” Non so se riesco a nasconderlo bene stavolta, quindi provo qualcosa di diverso. “E perché pensi che io c’entri qualcosa con la felicità di tua madre?” “Non lo so se c’entri davvero, coach” dice sincera. “Ma credo che valga la pena fare un tentativo.” Capite adesso perché adoro questa ragazzina? “Ti ricordi quando mi hai detto che se volevo davvero una cosa dovevo dimostrare quanto ci tenessi?” Sorrido di orgoglio e annuisco. “Be’, coach, è arrivato il momento di dimostrare a una persona quanto ci tieni a lei.” E qui non mi resta che abbassare la testa e tacere, perché sono effettivamente le mie parole e non posso rimangiarmele. Così la guardo mettere in spalla il suo zaino e avviarsi verso la porta di casa, infilare la chiave nella serratura, correre all’interno per disattivare l’allarme e poi la seguo, perché la verità è che seguirei questa ragazzina in capo al mondo, perché l’ho amata dal primo momento in cui ha afferrato con le sue dita minuscole il mio pollice e in più di un’occasione – anche se sarebbe più corretto dire in ogni singolo momento a cui ho assistito o che ho solo immaginato – ho desiderato con tutto me stesso che fosse mia. Ed è stata proprio lei, circa due anni fa, a riportare tutto quello che credevo sepolto di nuovo alla luce del sole.

Due anni prima

Porto la sacca con le palle nel capanno sul retro e chiudo la porta con la catena pronto a tornare a casa dopo un allenamento a dir poco disastroso con la mia squadra di campioni, quando una voce alle mie spalle non mi fa quasi chiudere un dito nel lucchetto. “Ehi, coach!” Mi volto di scatto per incontrare gli occhioni di Sam che mi scrutano con attenzione e quasi con un’espressione minacciosa. “Che ci fai tu, qui?” “Sono venuta per parlare con te.” “Con me?” Mi indico. “Ne sei proprio sicura?” Annuisce convinta. “E come ci sei arrivata al campo?” Volta la testa alle sue spalle e indica una macchina parcheggiata in strada. “Mi ha accompagnata mio zio.” “C’è qualche problema a casa?” Chiedo subito preoccupato. “No, nessuno.” Mi tranquillizzo. “Okay, allora cosa posso fare per te?” “La mamma non sa che sono qui.” “L’inizio non mi piace.” “Non volevo che piantasse su un casino.” “Un casino, perché?” “Perché lei deve fare sempre in modo che tutto vada bene.” Sorrido amaro, conosco la sensazione. “E io non voglio che lei parli per me.” “Ti sto ascoltando.” Incrocio le braccia sul petto. “Voglio giocare” afferma convinta. “Giocare?” “Nella tua squadra.” Spalanco la bocca stupito. “So cosa stai per dire.” Veramente non ho ancora raccolto i pensieri ma se lei crede di saperlo, chi sono io per fermarla? “Che sono una ragazza, che non ho mai giocato, che non ho la stoffa, che non mi daranno spazio, che nessuno mi prenderà sul serio.” Wow. Io al massimo ero arrivato al sa almeno calciare una palla? “Mi piace lo sport” continua. “Mi piace andare a cavallo e andare in kayak con mio zio e mi piace fare trekking nel parco nazionale.” D’istinto sorrido, mi ricorda qualcuno in tutto e per tutto, qualcuno che manipola già abbastanza ogni mio pensiero. Mi gratto la barba pensieroso mentre lei resta in attesa di un mio cenno. “Perché proprio il GAA? Ci sono centinaia di altri sport oltre quelli già da te citati.” “La mamma mi ha detto che posso essere tutto quello che voglio.” “Ti ha detto così?” La voce mi esce pessima, ma lei ha otto anni e per mia fortuna non ha ancora l’acutezza giusta per accorgersene. “Una volta sono stata a fare surf con la mamma” dice, il suo tono si addolcisce e il mio cuore scivola via tra le costole andando a spiaccicarsi sul terreno. “E lei è così…” Sospira di orgoglio. “Le ho chiesto come avesse fatto.” Resto talmente immobile che credo che tra un po’ qualcuno passerà a seppellirmi. “Lei mi ha confessato che una volta qualcuno le ha detto che avrebbe potuto fare ed essere tutto ciò che voleva.” Mettetene tanta di terra sopra questa testa di cazzo che ho e soprattutto, sopra quell’inutile e inabitabile cuore. “E sai cosa voglio essere?” Oh lo so cosa vuoi essere, piccola Sam, e non posso che essere in accordo con te. “Io voglio essere come la mamma.” Tu lo sei già e forse è per questo che ti amo almeno quanto amo lei. Mi schiarisco la voce per far smuovere quel masso che si è andato a posizionare nella mia gola e provo a parlare. “Belle parole, davvero” ostento un po’ di Reid prima che mi abbandoni del tutto offeso. “Ma non ti serviranno.” Mi guarda confusa. “Se vuoi davvero qualcosa devi dimostrare quanto ci tieni, cosa sei disposta a fare per averla.” Le dico queste parole consapevole di non aver fatto io per primo il mio dovere. “Altrimenti nessuno ti prenderà mai sul serio.” E non vorrei mai che tu dovessi un giorno trovarti a fare i conti con il mio stesso errore.

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