3 Reid

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Anche se abbiamo dei trasportatori addetti alle consegne fino a Dublino, c’è qualcosa di cui mi occupo personalmente tutti i giorni e non per la storia che dicevo prima, del fare le cose da soli se vuoi che vengano fatte come si deve. È che mi serve un motivo, capite? Altrimenti non saprei come giustificare la mia presenza qui tutte le sere a quest’ora cinque giorni alla settimana. “Ehi!” Il suo viso s’illumina tutto e il mio petto prende fuoco. “Pensavo che non venissi più.” Non esiste che io manchi un solo giorno, scordatelo. “Cosa mi hai portato, oggi?” “Il solito” le mostro la cassa. Lei viene fuori dal bancone facendo segno alla ragazza che è con lei che si assenterà e mi indica il retro. “Vieni con me.” Anche all’inferno se vuoi, nessun problema. La seguo superando la porta che c’immette nelle sale interne riservate solo al personale e poi inserisce il codice per il magazzino. Spinge la porta con la spalla e io la oltrepasso seguito da lei, poso la cassa insieme ad altre nell’angolo in fondo mentre la porta dietro di noi si richiude. Siamo al buio e siamo soli. E io sto per avere un attacco di panico. “Grazie, Reid.” “Dovere.” “Non credo sia compito tuo consegnare una cassa di whiskey.” “Ero di passaggio.” La sento sospirare piano mentre il mio di respiro va a farsi fottere. “Sei sempre di passaggio.” Anche se è buio e non posso vederla in viso, lo sento dal suo tono che sta sorridendo. È il momento più bello della giornata. Questo. E non me lo perderei per nulla al mondo. “Che vuoi farci, sono un vagabondo.” La devo dire una delle mie stronzate o non uscirò da questo magazzino sui miei piedi. Torna verso la porta e la apre, la luce che viene dai corridoi mi dice che sta ancora sorridendo: bene, almeno sono buono a qualcosa. La raggiungo e la oltrepassiamo entrambi per tornare nella hall. “Cosa farai di bello stasera?” “Farò un salto da mia sorella, Brennan mi ha chiamato, dice che è un’emergenza. Ma con lui, figurati, è tutta un’emergenza.” Ride. Anche lei conosce mio cognato e le sue gesta. “Vedi, oggi Ellie è andata a fare quella cosa… Come si chiama? Quella per capire di che sesso è il bambino.” “L’ecografia” dice lei animandosi. “Ma non l’aveva già fatta il mese scorso?” “Sì, ma mio nipote, che ha già capito come ci si comporta, ha mostrato le chiappe, non ne ha voluto sapere di fare vedere se lì sotto c’era un…” “Ho capito” ride, i capelli le cadono davanti al viso. Li scosta con la mano e poi mi guarda di nuovo. E ogni volta che lo fa perdo qualcosa per strada. “E dov’è Sam?” Chiedo non vedendola in giro. “A casa Brennan.” “Di nuovo?” “Credo che ci sia qualcosa in ballo.” “Dovrò fare un discorsetto a Justin.” “Ti prego, no.” “Vorrei solo sincerarmi delle sue intenzioni.” “Hanno dieci anni, Reid, di cosa devi sincerarti?” “Non mi piace che le giri intorno.” “Ma non è in pratica tuo nipote?” “In pratica, ma non in teoria.” Scoppia a ridere. “Sei impossibile, lo sai?” “Me lo dicono spesso.” “Ne sono sicura. E comunque qui si annoia e ha ragione, siamo tutti impegnati e nessuno le dà retta.” “Potevi chiamarmi” dico d’istinto. “Sarei venuto prima, potevo stare io un po’ con lei.” “Hai il tuo lavoro” dice senza guardarmi. “E noi non siamo un problema tuo.” Problema. Lo chiama problema. Non ha idea che l’unico problema qui è proprio che non sono io a farmi carico di tutto. “Ti aiuto volentieri.” Mi guarda e mi sorride. Sorride come si sorride a un amico. Un amico che passa tutti i giorni a salutarti, che ti chiede come è andata la giornata, che si preoccupa quando stai male. Mi guarda come si guarda un amico, lei, non sapendo che ogni volta che lo fa ci rende un po’ meno amici. Le porte dietro di me si aprono e una coppia sulla sessantina si avvicina al banco della reception. Lei si scusa e va dai suoi clienti, chiede se si sono divertiti, se sono soddisfatti del tour che ha prenotato per loro, se vogliono cenare in albergo o se preferiscono andare fuori in uno dei locali della zona. Vorrei trovare un altro motivo per trattenermi o qualcosa di divertente da dirle, perché mi piace quando ride per le mie cazzate, ma non mi viene nulla in mente così su due piedi e prima che possa impegnarmi nella ricerca di qualcosa di utile, lei torna da me. “Grazie per la consegna.” “Figurati.” “E per la compagnia.” Le sorrido a mezza bocca e mi volto deciso ad andare via prima di fare un danno che lei non può permettersi. “Fai le mie congratulazioni a Ellie” mi dice alle spalle facendomi bloccare. “Certo” dico quasi in pena e senza voltarmi; le porte si aprono davanti a me e io esco all’esterno raggiungendo veloce la mia auto. Non posso fare le tue congratulazioni a Ellie perché mia sorella non sa neanche che esisti, così come tutta la mia famiglia e i miei amici. O meglio, sanno che esisti, sempre a Letterfrack viviamo – 192 abitanti, ricordate? – Ma nessuno deve sapere che esisti nei miei pensieri. Che sei i miei pensieri. E che sei anche tutto il resto.

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