11 Reid

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Nove anni prima

“Non è troppo tardi.” “Mmm?” Andy smette di fingere di lucidare un boccale. “Non è ancora fatta.” “Di che stai parlando?” Indica con la testa un tavolo in fondo. “Non ti seguo” dico senza neanche voltarmi, nascondendomi poi nel mio boccale che di sicuro non è stato lucidato. “Perché sei qui, allora?” “Perché è l’unico locale della cittadina?” “Risposta sbagliata.” “Perché ci sei tu che ti improvvisi grillo parlante e che credi di essere più sveglio di me?” “Io non lo credo, io lo sono.” “Te lo lascerò credere solo per stasera perché sono stanco e non ho voglia di farti fare una delle tue solite figure di merda.” “E come mai sei così stanco?” “Forse perché sono in piedi dalle quattro di questa mattina?” “E allora perché non sei andato a casa invece di perdere tempo qui?” “Mi sono pentito di essere venuto a fare due chiacchiere con un amico nel momento in cui hai aperto la bocca.” “Io posso anche tacere se credi possa servirti.” “Sento che sta per arrivare il ma.” “Ma tu non dovresti farlo.” “Visto? Sei noioso e scontato.” “Fai qualcosa, Reid, prima che sia davvero troppo tardi.” Poso il boccale sul bancone e decido di lanciargli un osso, piccolo, giusto per farglielo rosicchiare in fretta per poi lasciarmi finalmente in pace. “Ammesso che io sappia di cosa stai parlando e bada bene, non ho detto che sia così…” Andy sbuffa e incrocia le braccia sul petto. “Non c’è nulla che io possa fare ormai.” La mia voce diventa stranamente roca senza che io possa controllarla. Andy ci pensa su qualche istante, poi si avvicina e posa le mani sul bancone protendendosi verso di me. “Non vedo nessun anello a quel dito” dice credendo davvero di essere di un passo avanti rispetto al sottoscritto. “Io invece lo vedo” dico amaro, trattenendomi dal lanciare un’occhiata alle mie spalle. “Non è un pezzo di metallo a fare la differenza.” “Neanche una firma.” Scuoto la testa rassegnato: cosa ragiono a fare con lui? Non potrebbe mai capire. Non gli rispondo, gli faccio segno che il mio boccale ormai piange e lui lo ritira sbuffando. “Non è definitivo” insiste, mentre lo riempie fino all’orlo. Questo lo dice lui. Per me lo è. La sua promessa l’ha già fatta, anche se non ha ancora pronunciato il sì, ha tacitamente accettato di promettere il suo cuore a un altro, di condividere la sua vita con un altro. E ora sta festeggiando con le sue sorelle l’inizio della sua nuova vita, vita che condividerà con un altro. E in fondo non dovrebbe stupirmi e non dovrebbe neanche ferirmi in questo modo. Non conta nulla se io l’ho vista prima di chiunque altro. Se io l’ho voluta prima di chiunque altro. Se io l’ho amata prima di chiunque altro. “Sono già una famiglia” dico, mandando giù il groppo che mi si è formato in gola con mezzo boccale. “Non è felice” Andy sussurra avvicinandosi a me. “Che cazzo ne sai tu di felicità, Veldons” non mi scaldo neanche perché arrivati a questo punto non ne vale la pena. “Se lo fosse e se fosse convinta di quello che sta per fare, la smetterebbe di tenere gli occhi incollati alla tua schiena.” Alle sue parole mi raddrizzo immediatamente. “Aspetta solo un tuo cenno, Reid.” Resisto all’impulso di voltarmi e mi alzo in piedi. “Non è…” Respiro. Posso dirlo. Una volta sola, al mio migliore amico, sperando che un giorno non lo usi contro di me. “Non è la mia famiglia quella.” “Reid…” “Ci vediamo” chiudo la questione e mi avvio veloce verso la porta prima che l’alcol entri in circolo e che mi suggerisca cose che non sono da me, che non sono per me, e che non riuscirei a portare a termine una volta sobrio. Perché è così che funziona per me. Non prendo quello che non è mio, non lo guardo, non lo desidero e soprattutto, non lo amo. C’è un confine invalicabile che io non oltrepasserò mai, neanche se volesse dire rinunciare all’unica cosa che io abbia mai voluto nella vita.

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