Capitolo 23

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Dopo essermi chiusa in camera, sono scoppiata a piangere come una fontana, con la schiena appoggiata alla porta.
Ho cercato di non fare rumore, per non farmi sentire da Dylan, ma i singhiozzi disperati hanno avuto la meglio e si sono impossessati del mio corpo.

Ho avuto paura di essere di nuovo travolta da un attacco di panico, perciò ho fatto dei respiri profondi e mi sono autoimposta di calmarmi.
Ci è voluta quasi mezz'ora per riprendermi dai venti minuti passati a piangere, prendere a pugni il pavimento e incolparmi di essere stata troppo stupida, ma alla fine sono riuscita a tornare alla normalità. Più o meno.

Ho ancora gli occhi gonfi e rossi, la gola mi fa male e la testa mi pulsa dal dolore.
Ho un estremo bisogno di andare in bagno.
Non vorrei uscire, non voglio dare a Dylan la soddisfazione di vedermi in questo stato, per poi congratularsi con se stesso per la mia distruzione, avvenuta in pochi minuti.
No. Non posso.

Ma devo fare pipì. Sto per scoppiare.
Mi alzo in piedi e, con cautela, apro piano la porta. Sbirciando fuori con la testa, prima di uscire del tutto.
Vedo il corridoio vuoto e silenzioso, così, velocemente, lo attraverso silenziosamente, in punta di piedi.

Raggiungo il bagno, chiudo la porta e, finalmente, mi libero dal fastidio.
Ovviamente, dopo aver fatto pipì, il mio corpo ha bisogno di acqua.
Ma dico io, perché?!

Esco dal bagno e, in punta di piedi, vado verso la porta aperta che collega il salotto al corridoio e mi affaccio, nascondendomi dietro al muro.
Mi tengo con le mani allo stipite, mentre controllo a destra e manca che Dylan non sia nei paraggi.
Vedo la cucina libera, così come il salotto.

Sarà andato via. D'altronde, che cosa resta a fare qua?
Sgattaiolo in cucina come i bambini che vanno a rubare i biscotti dalla dispensa.
Mi butto letteralmente a capofitto dentro al frigorifero, facendo un po' di rumore per sfilare l'acqua da sotto le altre bevande. Il frigorifero, tanto per essere chiari, è pieno.
Bevo direttamente dalla bottiglia, per poi riporla nel frigo.
Sto per tornarmene in camera, soddisfatta, quando una voce proveniente dal balconcino delle scale antincendio mi fa girare verso la finestra, che è stata riparata a metà settimana.

Mi avvicino, per capire se possa essere Dylan.
Ma certo che è Dylan, cretina. Chi vuoi che sia? La fata Madrina?
Sbuffo mentalmente.
Già, sbuffo talmente tante volte, che ormai anche la mia mente sbuffa, dopo le ovvie risposte della mia coscienza.
Ok, ho bisogno di cure.

Mi fermo dietro alla tenda e la sposto di poco, spiaccicando la faccia sul vetro.
Fuori, seduto sul primo gradino della scala di ferro, c'è Dylan, con in mano una sigaretta, che di tanto in tanto si porta alle labbra per poi far uscire il fumo, mentre nell'altra mano ha il cellulare, premuto sull'orecchio.
<<No, idiota, me l'ha detto lei!>> Risponde, a qualcuno.
Lei? Lei chi?

<<Che cazzo ne so, un altro coglione. Che poi non venga a piangere da me, quando la lascerà, però.>> Risponde ancora, dopo qualche secondo.
Ma chi? Di chi sta parlando? E con chi?
Si, beh, forse non sarei tenuta a saperlo, dal momento che è una conversazione privata, ma, prima di tutto, c'entra una LEI, e, secondo, io ho raccontato a lui di Travis. Me lo deve.

<<Te l'ho detto.>> Risponde.
<<No, non posso, amico. È troppo pericoloso, lo sai. Non posso coinvolgerla.>> Dice.
Questa frase mi è famigliare.
<<È meglio così. Credimi.>> Dice, freddo.
Sono sempre più confusa.
<<Lo so. Dio, non ce la faccio.>> Sospira, appoggiando la fronte sul palmo della mano che tiene la sigaretta.
Se gli vanno a fuoco i capelli io non lo resuscito questa volta, eh. Tanto è già seduto sulla scala antincendio,se la caverà.
<<Va beh, si. Ok, ok. Ciao.>> Dice, chiudendo la chiamata.
Resta a finire la sigaretta, mentre io scappo di corsa in camera. Se mi vede qua sono fottuta.

𝐋𝐈𝐅𝐄𝐋𝐈𝐍𝐄. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora