Capitolo 25

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Esco dal parcheggio e, improvvisamente, inizia a piovere a dirotto.
Ovviamente. Perché la sfiga, ormai, mi accompagna dappertutto.

Rinuncio anche a trovare un riparo, perché non vedo niente e vorrei evitare di perdermi per il Bronx di notte.
Decido, quindi, di fermarmi su una panchina sotto un albero accanto al locale, non molto distante dal marciapiede.

Dylan non si è nemmeno preso la briga di venirmi dietro. Niente.
L'ho sentito imprecare, per poi tirare un calcio a qualcosa, ma non si è mosso da lì.
Non so cosa pensare. Un momento sembra che non gliene freghi niente di me, e un momento dopo fa il fidanzato geloso.
Insomma, capisco gli sbalzi d'umore e i problemi a contenere la rabbia, ma sono una persona anch'io, ho bisogno di risposte chiare, non di uno che cambia idea ogni due secondi!

Sono completamente bagnata dalla pioggia. Il vestito mi si appiccica sulla pelle e i capelli si sono divisi a ciocche, attaccandosi sul collo.
Probabilmente ho anche il trucco colato, sia per la pioggia che per le lacrime che ancora scendono.

Mi ha detto la stesa frase che diceva sempre Travis. Non gli è mai andato bene il mio modo di vestirmi, né il mio modo di essere, né, tantomeno, tutto ciò che facevo.
Mi insultava anche da sobrio, dicendomi cattiverie che non riuscirò mai a dimenticare.

Appoggio il gomito sul ginocchio e affondo la testa nella mano.

I miei singhiozzi vengono interrotti da dei passi, e, poi, dalla sua voce.
<<Hol..>> mormora.
<<Che vuoi? Cosa c'è, adesso? Hai forse dimenticato di aggiungere che, oltre ad essere una troia, sono anche brutta e grassa?>> Sbotto, guardandolo.
Lui sgrana gli occhi.

<<Ti diceva questo?>> Chiede, sedendosi sulla panchina accanto a me.
Mi volto, altrimenti capirà se mento, poi nego con il capo.
<<Holly, guardami.>> Sussurra, posandomi due dita sul mento.

<<Perché sei qua, Dylan?>> Chiedo, con voce rotta, sviando il discorso Travis.

Lui si morde il labbro.
<<Andiamo a casa.>> Mormora. <<È tardi.>> Dice.
Mi si distrugge anche l'ultimo briciolo di speranza rimasta. La speranza che potesse essere venuto per dirmi che si è comportato da stronzo e che voleva rimediare.

<<Gli altri si fermano qua in discoteca.>> Mi avvisa, alzandosi dalla panchina.
Annuisco e decido di seguirlo, nonostante non voglia andare in macchina con lui, ma domani devo andare a scuola e non posso dormire sulla panchina.

Lo seguo fino alla sua macchina, impeccabilmente pulita,e salgo al posto del passeggero.
Non dico una parola per tutta la durata del viaggio, anzi, me ne sto con la testa appoggiata al finestrino, tirando su col naso di tanto in tanto. Nella macchina c'è silenzio, non c'è nemmeno la musica rap a distruggermi i timpani.

Ci fermiamo di fronte ad una villa: la confraternita di Dylan.
Lo guardo e lui fa un ghigno, tirando il freno.
<<Perché siamo qui?>> Chiedo.
<<Perché dormiamo qui.>> Risponde.
Cosa?

Lo guardo, sbalordita.
<<Come, scusa?! Non puoi trattarmi di merda e poi fare come se niente fosse, per di più portandomi a dormire da te!>> Sbotto.
Sorride. <<Abbiamo già dormito insieme, ricordi?>> Dice, alludendo a ieri notte.
<<Infatti, e la mattina dopo ti sei comportato da grande stronzo. Portami a casa.>> Dico, con rabbia.
<<E le chiavi? Ce le hai?>> Chiede.
Bastardo. L'ha fatto apposta.

Sbuffo, facendo un urletto stizzito. Lui ride, mentre scendo dalla macchina velocemente, sbattendo la portiera.
<<Smettila di prendertela con la mia macchina.>> Mi ammonisce, facendo il finto offeso.
Lo guardo male e lo seguo per il vialetto, a braccia conserte.

𝐋𝐈𝐅𝐄𝐋𝐈𝐍𝐄. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora