Capitolo 43

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DYLAN

<<Anderson, mi raccomando.>> Mi avvisa Blue, guardandomi negli occhi, prima di chiudere la portiera della mia auto definitivamente e andarsene, senza aspettare nemmeno un mio cenno col capo.

Sbuffo, appoggiando la nuca al sedile e osservando il palazzo malridotto di fronte a me.
Un'altra bella giornata ad Harlem, ad accompagnare questi pezzi di merda a stanare qualche altro spacciatore, drogato o un loro conoscente.

Spero solo che, questa volta, non ritornino con qualche eroinomane sanguinante, altrimenti l'autolavaggio me lo paga Blue.

Blue è un omone grande e grosso, con una barba crespa e ingrigita che gli arriva fino al petto –infatti la tiene legata con un elastico come se fossero capelli– e una grossa cicatrice che parte dalla spalla sinistra fino allo sterno, completa anche di segni di bruciature ormai cicatrizzati.
Credo che sia andato a finire dentro una struttura arrugginita, in mezzo ad un incendio, qualche anno fa.
È il braccio destro di Brandon, colui che dirige tutta questa merda, colui al quale dovrò "prestare servizio" ancora per due anni.

Lui e le sue fottute ripicche, i suoi contratti malati e, in particolare, il modo in cui manipola le persone e riesce a stipulare accordi senza che loro se ne accorgano.

La mia voglia di prenderlo a pugni e sfondargli quella fottuta faccia da cazzo è disumana, ma mi contengo, altrimenti credo che mi ritroverò un buco in testa da parte del sopracitato braccio destro, che non ha mai nascosto il suo disprezzo nei miei confronti.
La cosa è reciproca, tranquillo.

Dopo venti minuti, nei quali sento solo la musica che rimbomba tra le pareti della mia auto, finalmente vedo qualcuno uscie di corsa da uno dei palazzi.
Qualche colpo di pistola mi riporta sull'attenti, così sblocco le portiere e metto in moto.

Blue e gli altri due viscidi uomini di Brandon si lanciano nella mia auto.
<<Corri!>> Urlano.

Si, come se non lo sapessi. Rincoglionito.

Premo sull'acceleratore, cambiando marcia e sfreccio a tutta velocità, ignorando gli spari e le urla alle mie spalle.

<< Piccolo Anderson, sono impressionato.>> Ghigna Blue, appena raggiungiamo la base.
Gli lancio un'occhiataccia.

"Piccolo" chiama qualcun altro. O qualcos'altro dentro i tuoi pantaloni.

<< Blue, lascia in pace il ragazzo.>> Ghigna Brandon, divertito.
Alzo lo sguardo e lo vedo uscire dalla porta di servizio trasandata.

Blue borbotta qualcosa, ma non replica, per sua fortuna.

<<Tieni, te li sei meritati. Come sempre.>> Ghigna, lanciandomi il malloppo di soldi arrotolati e fermati con un elastico di gomma.
Li infilo nella tasca della giacca in pelle.
<<Vi ha visti qualcuno?>> Chiede Brandon.
I tre omoni scuotono la testa, mentre io rimango impassibile, dal momento che non ne ho idea.

<<L'abbiamo fatto secco, signore.>> Dice fiero uno di loro.
Non ho idea di come si chiami, ma non è la prima volta che partecipa ad una "missione".
Sempre che, queste, possano essere definite tali.

Fare da taxista a dei criminali, membri di una delle gang più pericolose di tutto il Bronx, per dei furti o per "sistemare" qualche conto in sospeso o, perfino, qualche criminale indebitato.

E oggi è toccato ad un tizio di Harlem.

<<Anderson, puoi andare. Ti chiamiamo per la consegna di domani.>> Mi liquida il bastardo.

Non rispondo, perché finalmente sono libero di non rivedere per un po' le loro facce di merda.
Giro i tacchi e, in silenzio e senza salutare nessuno, corro fuori.

𝐋𝐈𝐅𝐄𝐋𝐈𝐍𝐄. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora