Capitolo 87

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DYLAN

<<Dylan, te lo ripeto: sei sicuro di quello che fai? Sei ancora in tempo per cambiare idea, amico.>> ripete Reed, per la ventesima volta in giornata, mentre mi passa una chiave inglese.
Sbuffo, come di consueto, prima di rispondere –di nuovo– a questa domanda.
<<Si, Kayne, sono sicurissimo.>>

Lui sospira.
<<Lo so quanto sei testardo, ti conosco bene, ma questa non è una cosa che prendi e fai dall'oggi al domani, Andy. Devi rifletterci bene.>>

<<Reed, ci sto riflettendo da settimane, non ti pare un tempo più che sufficiente per organizzare una corsa?>> sbotto, guardandolo e fermando la mia mano prima che possa danneggiare qualche cavo del motore dell'auto che stiamo riparando.

<<Si, ma questa non è una corsa normale, Dylan, e tu lo sai.>> mi ricorda, con buonsenso.
<<Appunto perché non è una normale corsa ci ho riflettuto abbastanza da capire che sono estremamente conscio di ciò che faccio.>> affermo. <<Adesso passami il NOS.>>

Lui sbuffa, afferrando la bombola di protossido d'azoto, distesa con cura a terra.
Il motore di quest'auto è a combustione, e fa sì che questo determinato gas agisca su di lui come una sovralimentazione, che aumenta le capacità di prestazione durante la corsa.

Finisco di aggiustare la macchina in poco tempo, grazie all'aiuto di Reed, che per lo più rompe i coglioni. L'ultima parte del lavoro, quindi la revisione e gli ultimi ritocchi da esperto, li lascio a Ron, che mi da il cambio non appena arriva dopo la sua lunghissima pausa merenda.

<<A domani, imbecilli!>> esclamo, ghignando divertito, mentre Reed mi mostra il terzo dito e Ron mi lancia un pacco di brioche confezionate che aveva sotto tiro, mancandomi perché è semi-ciecato.

Salgo sulla moto, afferro il casco, lo infilo senza allacciare la cinghia e parto verso casa.

Quell'appartamento mi trasmette solo malinconia. Estrema e deprimente malinconia.
Tutto, dentro quella casa, sa di lei.

Mi manca. Mi manca così tanto che se ci penso non riesco a respirare. Ed è meglio non pensarci mentre guido, soprattutto se sono in moto. L'ultima volta ho rischiato di finire contro un muro.

Non faccio altro che pensare ad Holly, cercando di immaginarmi come possa stare lei ora, se, anche lei, durante questi lunghissimi giorni di lontananza, abbia sofferto almeno la metà di quanto abbia sofferto io.

Non riesco a fare niente senza che la mia mente non mi riporti da lei. Non riesco a dormire, ho incubi nei quali lei è sempre protagonista, oppure i pensieri mi afferrano la mente in modo così prepotente che a un certo punto riesco solo ad urlare.
Ora so come ci si sente, quando l'amore ti mostra i suoi lati negativi.

Il Dylan di nove mesi fa avrebbe ignorato tutto questo, si sarebbe scopato dieci ragazze a settimana senza alcun rimpianto, il Dylan di nove mesi fa avrebbe pensato che tutto ciò fossero solo cazzate, cose da ragazzina dodicenne con la sua prima cotta.
Il Dylan che sono ora, dopo che lei è entrata nella mia vita, invece, non riesce a smettere di pensare a quanto io sia innamorato di lei e a tutto ciò che farei per riavere quello che avevamo fino a poco più di una settimana fa.

Questo Dylan è il Dylan che voglio essere per lei.

Parcheggio sotto casa, sfilando il casco e spegnendo il motore.
Mi passo le dita sugli occhi lucidi, tiro su col naso e apro il portone, per poi cimentarmi nella lunga scalata che bisogna fare prima di raggiungere il sesto piano.

Arrivo nel nostro corridoio e sento subito le voci dei ragazzi provenire dall'appartamento di Jason.
Andrò a salutarli più tardi. Devo bere qualcosa e farmi una doccia.

𝐋𝐈𝐅𝐄𝐋𝐈𝐍𝐄. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora