Esistono persone che credono fermamente nei motti. In effetti, si può tranquillamente passare per intellettuali o sofisticati aristocratici se si ha una bella frase o parola alla quale aggrapparsi.
Un lampante esempio di questo è la Harvard University. Essa sembra scalfire i propri studenti uno a uno, non coprendo i loro principi ma ravvivandoli, soffiando sul fuoco di animi giovani e curiosi, facendo delle loro menti la sua più grande fonte di alimentazione.
A quindici minuti di macchina da Boston, nel Massachusetts, precisamente a Cambridge, negli States, si ergono i complessi che sono dormitori, aule, biblioteche, giardini e posti segreti che appartengono agli studenti. Gli edifici in mattoni rossi contornano i grandissimi giardini pieni di alberi ed erba.
Un dedalo di vie principali e viottole secondarie porta da questa o da quest'altra parte del campus. I tetti alti proiettano grandi ombre proteggendo coloro che uscivano da una delle aule magne. Lei era lì, in mezzo agli studenti che erano appena stati al congresso migliore e peggiore della loro vita. Dove avevano sentito i professori di letteratura incitare i Senior a cominciare già a pensare alla trama delle loro tesine, raccontare ai Junior come comportarsi al campus, cosa evitare e come applicarsi al meglio, le scadenze ed i termini che mai nessuno avrebbe rispettato. Mr. Walsh aveva raccomandato al direttore dell'Harvard Lampoon, Gerard Grag studente Senior, il giornale umoristico per eccellenza, di non esagerare con la satira sul campus, e a tenere in considerazione più alta il proprio ruolo e quello dell'accademia. Poi il coach Frank Scriven si era premurato di incitare a voce troppo alta la squadra di Football a vincere e fare quelli della Yale a strisce nel 'The Game'. La squadra, dal canto suo, aveva risposto alzando il pugno in aria e urlando, nonostante il professor Walsh li avesse fulminati con lo sguardo, 'Veritas-Veritas-Veritas', il motto di Harvard.Quanto fosse pronta per un altro anno in quella prestigiosa università, Arden Ibsen non sapeva dirlo. Forse non era pronta, ma poco importava dal momento che aveva già sborsato la profumata cifra a molti zeri per la retta annuale.
Strinse di più i volantini che le varie organizzazioni della scuola avevano distribuito tra gli studenti presenti alla quinta assemblea della settimana. Funzionava così: per una settimana, dall'inizio delle lezioni, si tenevano un numero eccessivo di assemblee in cui venivano ripetute sempre le stesse cose, in modo che tutti gli studenti, troppi per essere contenuti tutti in una volta sola nell'aula magna per eccellenza, potessero partecipare a gruppi estremamente numerosi ed apprendere i programmi del nuovo anno.
Si incamminò in direzione dei dormitori femminili. Avevano ciascuno tre piani, ed erano come case a schiera, tutte uguali tra loro, non cambiava nemmeno un mattone."Arden! Ehi, Arden! Aspetta!" si, la conosceva quella voce, la conosceva tutto il campus, ma poco contava finché chiamava lei e non qualcun'altro. Si voltò con un sorriso che sembrava il continuo di uno dei tanti raggi di sole che baciavano il campus in quel momento. Le correva incontro Irber Hart, Senior, Medicina, vicedirettore del 'The Harvard Crimson' il giornale ufficiale della scuola, comprato e letto da qualunque americano disposto a farsi un'idea di come andavano le cose all'interno delle 'mura rosse'.
Irbel si fermò davanti a lei con una mano sul cuore come a reggerlo per l'estenuante corsa che aveva appena fatto. Sorrise alzando un dito in aria e rivolgendole un sorriso come per chiederle di aspettare un attimo affinché i suoi alveoli polmonari fossero di nuovo tutti gonfi d'aria. "Ragazza.. lo sai che è dalla caffetteria che ti chiamo a pieni polmoni?" le chiese prima di avvolgerla in un abbraccio al quale lei rispose malamente visto che aveva le mani e le braccia impegnate.
"È bello rivederti, Irbel. Come te la passi?" gli sorrise guardandolo con divertimento per il maglione che aveva addosso. "Da quando vai in giro con i maglioni cremisi dell'università?" rise guardandolo meglio.
"Da quando quell'idiota di Miles McMiller ha deciso che sarebbe stato così che i dipendenti dell'Crimson si sarebbero distinti..- si accigliò- ti rendi conto, Ibsen? Ci ha definiti 'dipendenti'? Che Dio me ne guardi, dipendere da lui."
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The Fear
FanfictionLa Paura non è solo una cosa astratta. La Paura non è il mostro nell'armadio, ne il fantasma sotto al letto e tanto meno quella sensazione spiacevole dell'essere osservati da qualcuno. La Paura è qualcosa di vivo e concreto. Qualcosa che si svela a...