Non aveva mai percorso la strada per andare all'ufficio di qualche insegnate, nemmeno adesso che era diventata ufficialmente il vicedirettore del 'The Harvard Crimson'. Lasciava sempre a Miles il compito di parlare con professori ed altre persone visto e considerato che lo reputava più bravo e che lei odiava contatti con persone che non conosceva.
Ma quel giorno non avrebbe avuto scampo: sapeva del collegamento che aveva il professor Walsh con Pogar e tutta la storia che Harry le aveva raccontato e non poteva evitare di mancare se lui la convocava in ufficio. Ma si sentiva terrorizzata. Per diverse ragioni: una delle quali era il fatto che non aveva idea di che cosa le avrebbe detto.
Da quando la situazione con Harry era 'sfuggita di mano' si sentiva in trappola a parlare di cose che lui le aveva spiegato. La sua presenza la opprimeva anche quando non era davvero concreta.
Arrivata davanti all'ufficio si accorse della mano che le tremava, così la chiuse a pugno saldamente prima di battere sul legno ed aspettare un 'avanti' che non tardò molto ad arrivare. Prese un grande respiro e poi aprì la porta sperando con tutta se stessa che di qualsiasi cosa si trattasse finisse al più presto.
Quando fu all'interno della stanza rimase pietrificata nell'osservare i presenti, tanto che si dimenticò di chiudere la porta.
"Canyon, ti dispiacerebbe chiudere la porta?" chiese Walsh accorgendosi dello stato di Arden.
Canyon le si avvicinò piano e ghignate, non le staccava gli occhi di dosso e lei si sentiva il centro di attenzioni che avrebbe volentieri evitato. Aveva voglia di vomitare, nonostante avesse rimesso quella mattina stessa grazie alle pillole della sera prima. Lo stress era troppo e si stava tutto riversando inevitabilmente sulla sua salute fisica e mentale.
"Salve, Daisy." sorrise Canyon verso di lei mentre si allontanava per tornare ad appoggiarsi alla scrivania di Walsh.
"Scusami?" rispose lei in tono arrogante, per nulla divertita dalla situazione.
"Si, Daisy, sai... Il Grande Gatsby? Pensavo che certe stronzate qui le imparaste.."
"Non ci assomiglia nemmeno un po' a Daisy, Canyon." continuò Walsh guardandolo con la fronte corrugata.
"Buon Dio, Walsh, le ho dato un soprannome okay? Lei è complessa, testarda, egoista, confusa esattamente come la Daisy di Gatsby- e fece un cenno impercettibile verso l'altro ragazzo nella stanza (Harry)- quindi se ho voglia di chiamarla Daisy, la chiamo Daisy. Capisci?" sbuffò infastidito.
"Beh, grazie mille Canyon. Sono lusingata. Posso sapere perché sono qui, professore?" chiese facendo pochi passi nella stanza. Harry le dava le spalle, seduto su una delle due sedie davanti alla scrivania di Walsh. Si teneva la testa con una mano e lei percepiva il suo respiro grazie all'innalzarsi ed abbassarsi delle spalle. Si irrigidì e smise di guardarlo di colpo. Ricordandosi di quello che era successo e di quello che si era ripromessa.
"Innanzitutto, Miss. Ibsen, sono felicissimo che lei sia qui. Sarò chiaro con tutti voi adesso, non temete."
Canyon sbuffò alzando gli occhi al cielo e prese a giocare con un fermacarte di forma sferica di cristallo. Arden lo guardò per tutto il tempo che Walsh parlò introducendo a tutti perché si trovassero lì in quel momento.
"Credo che siamo tutti accomunati dal fatto che Pogar ha indicato noi come Giocatori." sussurrò poi in tono grave sedendo alla sua sedia girevole e trafficando nei cassetti per trovare qualcosa. Tirò fuori un sigaro e lo infilò tra le labbra prima di accenderlo: un fumo denso ed acre impregnò l'aria all'istante.
Solo in quel momento Arden staccò gli occhi da Canyon che giocava con la sfera per osservare come Harry si alzava in piedi e andava ad appoggiarsi, senza una parola, al legno della porta, lontano da tutti loro.
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The Fear
FanfictionLa Paura non è solo una cosa astratta. La Paura non è il mostro nell'armadio, ne il fantasma sotto al letto e tanto meno quella sensazione spiacevole dell'essere osservati da qualcuno. La Paura è qualcosa di vivo e concreto. Qualcosa che si svela a...