49. Funghetto

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Sally

Per tutta l'ultima mezz'ora mio padre mi ha costretto a sorbirmi l'intera sua ramanzina, e visto che oggi è domenica non ho nemmeno la scusa di un suo ipotetico ritardo a lavoro per scamparmela. Gli ho dovuto dire che ho perso il lavoro, ho ribadito per la centesima volta che non voglio andare a lavorare nella noia-azienda-di-famiglia, che voglio costruirmi un futuro da me, da sola e con le mie forze, che non mi interessa iscrivermi all'università per frequentare Economia, perché mi dà la nausea il solo nominarla... E in tutto questo parlare, le sue frecciatine rivolte a Harry non sono mancate.

Ian avrebbe dovuto tapparsi la bocca con lui. Sinceramente non mi aspettavo una reazione del genere da parte di mio padre, visto che non è mai stato un tipo esageratamente geloso; ma non ho contato il fatto che Harry è il primo essere di genere maschile non appartenente alla nostra famiglia che porto in casa, e di conseguenza non ho avuto molti termini di paragone in passato.

Papà mi offre l'ennesima fetta di pane con crema al cioccolato e nocciole spalmata sopra, ma sarebbe la terza e persino il mio stomaco senza fondo può considerarsi sazio per una prima colazione; in maniera ancor più accentuata rispetto a mia madre, mio padre ha sempre avuto la strana convinzione che ingozzarmi di dolci mi avrebbe aiutata a scacciare i miei problemi.

«Lo spilungone se n'è andato via?» chiede mio padre quando vede entrare Ian in cucina.

«No, è andato a lavarsi, credo», risponde mio fratello, rabbrividendo per l'aria fresca che si è preso durante la passeggiata.

Mio padre aggrotta le sopracciglia. «Una doccia?!» esclama. «Ma pensa di essere a casa sua quello

Mia madre gli piazza immediatamente una mano sulla spalla e lo costringe a calmarsi. «Smettila un po' e lascia quei due in pace.»

«No che non li lascio in pace, bisogna sempre tenerli d'occhio», borbotta saltellando sulla sedia, anche se la leggera pressione della mano di mia madre sembra riuscire a impedirgli di alzarsi.

«Papà, vorrei farti notare che non sono più minorenne», gli spiego mentre termino il bicchiere di aranciata.

Affina lo sguardo, pensieroso, mi guarda per qualche istante e poi fa schioccare la lingua. «Non mi importa, sei sempre la mia bambina e non mi va che quello giri qui per casa.»

E chi se lo sarebbe mai immaginato che mio padre diventasse così geloso?

Mi sento sollevata in questo momento; nonostante non mi sia ancora ripresa al cento per cento, come sempre quando cado a terra, poi riesco sempre a trovare il modo per ritornare alla luce. La depressione non è fatta soltanto di porte chiuse: ci sono giorni e singoli momenti in cui si torna a respirare, quegli attimi tra un attacco e l'altro quando sembra quasi di poterne uscire completamente, anche se il più delle volte è soltanto un'illusione.

Infatti, il breve momento sereno che ho appena attraversato con il sorriso sulle labbra si spegne in un unico, singolo attimo: mio padre passa una mano sulla guancia, in quel gesto di concentrazione che molti uomini compiono con la punta delle dita per saggiare la crescita della barba, altre volte per sentirne il leggero fruscio sotto le dita mentre sono sovrappensiero. Lui lo ha sempre fatto quando si perdeva tra i suoi pensieri, o quando ragionava su qualcosa che lo preoccupava. Il fatto è che quello stesso maledetto gesto, fondamentalmente innocuo a un occhio esterno, riesce ogni singola volta a riportarmi alla memoria quel maledettissimo pomeriggio di tanti anni fa. Tutti gli uomini lo fanno, e anche mio zio Fred lo ha sempre fatto, lo stesso zio che somiglia così tanto a mio padre, suo fratello. Con quel preciso gesto, le sue lunghe dita robuste che avevo sempre immaginato tenere in mano la macchina fotografica con maestria ed eleganza in luoghi esotici e lontani, si perdevano a sfiorare la pelle della guancia e del mento per un unico motivo: l'eccitazione. E tutti i movimenti e i gesti che fece quel giorno, le parole che pronunciò, i rumori, i suoni e persino gli odori sono impressi indelebilmente nella cinepresa della mia memoria, sempre pronta a farmeli rivivere come se io fossi ancora a quel lontano giorno, ma sempre troppo vicino.

Harry ti presento SallyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora