Capitolo sessantasei

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~~~ STEFAN ~~~

Albert è venuto a trovarmi anche nei giorni successivi e ogni volta mi ha rifilato sempre le stesse parole. "Signor Howard, dobbiamo stare attenti..." ; " ...dobbiamo essere pronti al peggio..." ; "...magari con l'aiuto della signorina Smith..." ; "... suo padre non fa altro che sparare sentenze e il suo volto è in prima pagina sui giornali...".

<<Si decida signor Howard, il processo sarà tra tre giorni e ancora oggi, mi rincresce dirlo, ma non abbiamo niente in mano>> aggiunge questa volta. Passo la mano frenetica sul volto, l'ansia del giorno del giudizio comincia a farsi sentire e non so come farò a gestire tutta la situazione in un dannato tribunale, per di più quando dalla parte opposta vi saranno mio padre e mia madre a combattere contro di me, per spedirmi in galera e salvare quel poco che resta della loro dignità politica e aziendale.

<<Non importa, ho già ripetuto più volte che non mi farò aiutare ne da Camilla, ne da Kelly o suo padre>> rispondo a tono << sono innocente maledizione>> continuo sbattendo il palmo della mano sul tavolo freddo. Una scossa di brividi si propaga lungo tutto il braccio fino a spandersi in ogni particella del mio corpo.

<<Se questa è la volontà, così sia...ma temo che dopo molto tempo, per le terza volta in tutti i miei anni di carriera avrò un'ampia possibilità di perdere una causa e questo, sappiamo entrambi, che non sarà solo a mio discapito.>>

<< Ma smettila con queste cazzate e vittimismo, l'unico che verrà penalizzato in tutta questa ingiustizia sarò solo io>> esalo amareggiato.

<<Signor Howard, non voglio essere scortese ma credo che sia giunto il momento che lei la smetta di usare toni tanto accesi. Siamo sulla stessa barca e il mio obiettivo e remare fino al porto, proprio come lei, nella medesima direzione>> risponde esasperato.
Sorrido, perché mi rendo conto di aver fatto perdere la pazienza anche a un tipo come lui.
Tiro un respiro, e decido di lasciar perdere. Infondo ha ragione, non posso comportarmi in modo tanto arrogante con lui, o finirò per rimanere da solo in questa battaglia.

<<Detto ciò...ho chiesto al direttore del carcere se potevo lasciarle un piccolo fascicolo con tutte le accortezze da fare, in modo che nel tempo morto possa studiare il caso e arrivare al processo preparato>> aggiunge. Annuisco, afferro il plico di fogli a4 e lo osservo rigirandomelo tra le mani.
È più bravo di quello che pensavo, mi ha stupito.

<<E bravo Albert>> commento sincero.
Non risponde e continua a elencarmi una serie di atteggiamenti che dovrò adottare in tribunale davanti al giudice, poi una volta concluso mi saluta promettendomi di vederci il giorno prima per gli ultimi accertamenti. 

Torno in cella, e comincio a sfogliare il fascicolo. È buffo quanto il mio nome, con un passato e un impero così grande alle spalle risulti talmente piccolo su queste pagine, come se non fosse più quello a contare, ma bensì quanto accaduto. Suppongo che sia più che giusto, ma mi sale una rabbia dentro che non riesco a decifrare. Sono sempre stato un uomo con la "U" maiuscola, tralasciando qualche marachella fatta da ragazzo e le strategie poco leali usate per far accrescere il mio impero, ed è impensabile che la mia vita si sia capovolta completamente.

Comincio a leggere riga dopo riga, assimilando ogni parola tatuandomela nella mente in modo da non dimenticarla al processo.
Albert è stato talmente scrupoloso nel scrivere queste pagine da aver aggiunto anche un piccolo paragrafo sul modo in cui dovrò sedermi e dal tono di voce che dovrò utilizzare con il giudice. 
"Niente gambe incrociate e un tono amareggiato, la prego di non ostentare una sicurezza che non può permettersi, quantomeno non in quel contesto. Devono vederla come la vittima del caso, più di quanto lo sia quella povera ragazza."
Povera ragazza...povera Camilla. Quante ne ha passate prima di me, e quante gliene ho fatte passare. Forse sono un po' colpevole, perché se l'avessi creduta, se avessi provato a capirla, probabilmente nessuno dei due sarebbe nella situazione in cui siamo adesso.

Trascorro le ore seguenti a ripetere quanto ho letto, finché non giunge l'ora di mangiare. Come uno schema visto e rivisto, veniamo scortati nella sala mensa. Noto con poca sorpresa che a qualcuno di loro sono state messe delle manette ai polsi. Mi avviso verso lo scompartimento dei vassoi e ne afferro uno, mettendomi in fila per ricevere una di quelle poltiglie che sanno tanto di vomito e cacca animale.
Scorriamo uno per volta, la vecchia signora che serve i piatti ha il volto sporco di cibo e qualche ciocca di capelli unti, sicuramente non li lava da giorni, le sfugge dalla cuffietta con sopra delle fatine e cavalli incantati. Una sorta di caricatura per un luogo del genere.
Mentre aspetto il mio turno, giunge una voce alle mie spalle, non mi volto perché so già esattamente chi è. La voce di quell'uomo che tanto mi odia quanto io non sopporto mio padre.

<<Che c'è Howard? La vita di galera comincia a pesarti?>> domanda beffardo notando le mie occhiaie e il volto stanco.

<<Decisamente>> ammetto sincero e duro.
Questo scoppia a ridere talmente forte da attirare l'attenzione degli altri.

<<Sei un debole, gli Howard senza i loro soldi sporchi ad aiutarli non sono altro che luridi pappa molli >> continua.

<<Almeno posso dire di essere un Howard, il mio cognome conta più di quanto conterà il tuo in tutta la tua misera vita che, per tua sfortuna, sarà qui dentro a marcire>> sbotto nervoso.
Questa volta sembra non prenderla molto bene, tanto è vero che qualche minuto dopo mi ritrovo a terra, inginocchiato e piegato su me stesso per il forte bruciore che sento sul fianco sinistro. Poggio la mano sopra e quando la sposto per controllare noto che è macchiata di sangue, questo bastardo mi ha ferito, con una cazzo di forchetta di plastica.
Faccio per alzarmi e attaccarlo, ma una delle guardie nota la scena e per non essere sbattuto in isolamento fingo che la ferita mi faccia male più di quanto lo faccia realmente.
Così, invece di afferrare me per il colletto e trascinarmi di sotto a calci, lo fa con il maledetto che mi ha ferito. Sorrido di sottecchi, e noto che questo non passa in osservato da molti e da lui che mi rivolge un ultimo sguardo furioso e con il volto sporco di sangue per il calcio ricevuto dall'agente. Devo sbrigarmi a uscire da qui dentro, o lo farò ugualmente...in una bara.

Amami Adesso                                                    Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora