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Non riuscii a dormire per niente quella notte. Non appena eravamo tornati a casa ero corsa in camera mia per andare a dormire. Ero arrabbiata con lui per avermi portata di nuovo in una situazione scomoda, ma ero troppo stanca per discuterne con lui. Quella sera.

Tornai a pensare alla conversazione che avevamo avuto prima di quella chiamata inaspettata: perché quella domanda su Jack? Ma sopratutto l'aveva davvero inteso quando aveva detto "allora sono io che non riesco a starti lontano"? Almeno un centinaio di volta quella frase mi era frullata per la testa, accompagnata con l'immagine del sorriso di Jason. E l'immagine di noi due insieme. Immagini scandalose anche se erano solo nella mia testa.

Neanche mi ero accorta che Jack non mi era passato per la testa nemmeno per un istante. Mi sentivo in colpa. Avevo detto a Jack di non preoccuparsi di Jason, anche se dormivano sotto lo stesso tetto e da soli. Ma eccomi a pensare a lui per tutta la notte.

Non aveva senso.

Stavo pensando al mio nemico.

Stavo pensando a qualcuno che neanche si apparteneva. Che era proprietà di tutti e tutti volevano, potevano avere.

Il giorno dopo ci eravamo svegliati in contemporanea. Ci eravamo vestiti di fretta ed eravamo saliti sulla sua moto. Jason mi era da subito sembrato entusiasta e nervoso allo stesso tempo. Ma si era limitato a scambiare poche parole.

Io invece ero rimasta muta, temendo che incontrando i miei occhi avesse potuto leggere i miei pensieri. Ciò che il suo corpo mi provocava. Quella mattina indossava la tuta con la felpa.

Avevo deciso di smettere di porgli domanda al gruppo che quella notte aveva rotto il parabrezza di Bryce; tanto era finita e sinceramente non volevo immischiarmi più negli affari dei suoi amici.

«Sbrighiamoci», aveva detto autoritario e io avevo solo annuito. Sembravo una versione opposta di me. Continuavo a combattere i pensieri intrusivi su Jason, mentre lui tremava per una gamba.

Alzai lo sguardo. Neanche si era accorto come i suoi capelli venivano piegati in dietro ogni volta che si passava la mano sopra di essi, dandogli un'aria di classe.

Classe... certo se non si sa del fatto che rutta come uno scaricatore di porti...

Restammo in silenzio per tutto il tragitto. Le mie mani strette intorno al suo ventre, nonostante di colpo quel gesto mi fece sentire in modo fin troppo singolare.

Parcheggiò davanti a dei negozi. Molte delle persone presenti si girarono nella nostra direzione per il rumore, mentre alcune delle ragazze con in mano buste dello shopping erano rimaste ad osservare Jason e la sua moto con interesse. Io invece ricevetti solo sguardi velenosi.

Jason scese dalla moto per poi aiutarmi a fare lo stesso. Lanciai uno sguardo sul negozio che stava continuando a guardare interessato.

Rimasi con un groppo in gola. «Filston. Perché siamo davanti a uno studio di tatuaggi?»

Notai che non voleva rispondermi, mentre mi prese dalle mani il casco. Poco dopo mi guardò per la prima volta quella mattina negli occhi. «Secondo te?», mi domandò retoricamente.

Rimasi a bocca aperta. Insomma, non avrei mai preso Jason per un tipo da tatuaggi. In più non capivo come mai adesso avesse quella voglia e sopratutto perché mi stesse portando con sé.

Sapendo che lo avrei criticato.

Perché avevamo gusti diversi e io ero sempre sincera.

«Perché di colpo questo impulso di farti un tatuaggio? Ha qualcosa a che fare con quello che è successo ieri sera?», domandai incuriosita. «Non sarà la tua fase ribelle, vero?»

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora