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25 Gennaio 2022

La coppia accanto a me continuava a urlarsi addosso, senza contesto. Dopo mezz'ora di discussione pareva lo stessero facendo solo per passare il tempo. Di colpo l'uomo scaraventò la borsa che teneva in mano a terra, facendomi balzare per allontanarmi il più possibile.

Odiavo gli aeroporti, era l'unico posto in cui la gente condivideva qualcosa: l'ansia. Il sole stava per calare e il freddo pareva diventare più evidente ad ogni minuto che passava, accompagnato dall'incessabili suoni nei dintorni.

«La gente sta proprio male», commentò con un'espressione nauseata Claire, mentre continuava a prendere sorsi dalla sua bevanda.

«Malissimo.»

Sinceramente non avevo idea del perché mi avesse accompagnata fino a lì. In seguito, per tornare all'hotel, avrebbe dovuto farsi mezz'ora di viaggio in macchina e tutto questo solo per sentirmi lamentare di quella situazione assurda.

Mi misi in groppa la borsa in modo di stare più comoda, poi mi rivolsi a Claire, nella speranza che ci saremmo presto potute dividere. Aveva assunto un comportamento poco sopportabile quella settimana. «Grazie per avermi accompagnata.»

«Di niente. Fred mi ha detto che non avrei dovuto perderti di vista per un attimo», rispose tranquilla lei, notando però la mia avversione chiaramente espressa sul mio volto.

Sbuffai: «Poteva pure farne a meno.»

Non avevo mai trovato mio padre un uomo con dei comportamenti insensati, ma quando una settimana prima Jason era tornato a Los Angeles senza dare spiegazioni e io avevo provato a raggiungerlo. Papà me lo aveva impedito, dicendo che sarei dovuta restare per una questione di soldi e rispetto. Ecco, questo lo trovavo insensato.

Era stata la settimana più lunga della mia vita. Scomparso, Jason non mi aveva risposto a nessuna delle chiamate che gli avevo fatto. Solo attraverso Allison, la quale stava trascorrendo insieme alle altre le vacanze a Los Angeles, ero certa che fosse vivo. Non l'aveva visto, ma alla mia amica erano arrivate certe voci di cui non mi aveva voluto dare dettagli. Forse era meglio così.

Tom. Sinceramente non l'avevo mai trovata una persona con una buona influenza, ma lo conoscevo da quando ero piccola e sapere che se ne era andato mi spezzava il cuore. Immagina quello di Jason... Tutto quello che avrei voluto fare quella settimana era andare da lui per saperlo al sicuro. Ma come potevo fare una cosa del genere dopo quello che era successo tra noi?

Mi fu chiaro, in quella settimana in cui avevo dovuto sciare con il broncio e sopportare le risate finte di mio padre a cena, che non perdonarlo sarebbe stato uno sbaglio irremovibile e che appena arrivata a Los Angeles gli avrei dovuto dire che ci sarei sempre stata. E ci credevo veramente, pensate, che lui mi avrebbe ancora voluta.

«Aspetta Jason! Dove stai andando?», gli urlai dietro, senza fare caso al freddo glaciale che faceva nel parcheggio dell'hotel. Provai a farlo votare, afferrandogli il braccio, ma non pareva volere ascoltarmi: «Jason, cosa ti hanno detto al telefono?!»

«Un cazzo che ti riguarda!», urlò, ancora senza volarmi, mentre trascinò la sua valigia in direzione del taxi appena arrivato. «Lasciami andare e basta.»

«Ma-»

«Basta!», sbraitò.

Non mi era chiaro nulla di quel suo comportamento. Era scomparso per mezz'ora, poi era tornato in distanza per fare le valigie e ora era diretto a Los Angeles, senza dare spiegazioni.

Immaturamente, mi sentii offesa da quel suo modo di rispondermi. Ero troppo orgogliosa solo per provare a capirlo, così mi fermai poco prima di raggiungere il taxi nel quale ormai stava per salire.

Il mio respiro era accelerato, mentre rimasi con le braccia stese sui fianchi impalata a guardarlo, mentre Jason si passava le dita tra i capelli e si stropicciava gli occhi, spalancandoli dopo. Come se non riuscisse a vedere bene. Solo allora notai il suo cammino poco diritto e la confusione nei suoi movimenti.

Mi avvicinai con passi svelti alla sua figura. Mi guardò infuriato quando gli presi il volto tra le mani per forzarlo a guardarmi negli occhi. Rimase fermo a scrutarmi con tensione, un po' confuso, ma anche indifferente.

Lasciai un po' la presa, ferita dal fatto che il mio intuito aveva ragione: «Di cosa ti sei fatto? Ei! Dimmelo, Jason.»

All'inizio non parve volermi rispondere, anzi, pareva trovarlo divertente, ma quando gli afferrai la giacca con forza, parve riprendere un minimo di lucidità.

«Queste cose le dico solo a persone di cui mi fido», insinuò, chiaramente per ferirmi, «non mi fido per un cazzo di te Charlotte. Sicuramente non dopo quello che è successo stasera.»

Lo strattonai per un attimo per la giacca, irritata dal suo comportamento immaturo: «Ritorna in te, Jason. Non puoi andare in giro in questo stato.»

Si liberò dalla mia presa con rabbia. Pareva ferito, ma non avevo fatto nulla per causarlo, segno che qualcosa di grave era successo. «Chi cazzo sei te per dirmi cosa fare?»

Mise un piede nell'automobile per salire.

«Jason così però mi fai preoccupare», ammisi con la voce spezzata, mentre osservai il suo sguardo perso nel vuoto. «Ti prego, torniamo su. Ne parleremo-»

«Non capisci?! Non voglio parlare! Voglio andarmene da questo fottuto posto!»

«Ma perche?!», sbraitai terrorizzata.

Non l'avevo visto in quel modo da tempo, dal secondo liceo per l'esattezza. Ma cosa aveva causato quel comportamento in secondo liceo non era nulla in confronto a ciò che era appena successo. E una parte di me lo sapeva che sarebbe stato difficile riportare Jason alla razionalità.

Odiavo fargli vedere che piangevo, avrei impedito a me stessa di farlo in qualsiasi altra situazione, ma c'era qualcosa in quell'attimo che mi fece sentire persa in un modo insolito.

Jason afferrò la maniglia della macchina, lo sguardo basso e le labbra socchiuse.

«Jas. Non riesco a sopportare di vederti in questo stato. Lo sai.»

«Questo è un problema tuo», ribadì poi freddo, senza alcun tono nella voce. Pura indifferenza.

«Mamma mi ha detto di dirti che appena trovi Jason le dovresti scrivere», riprese Claire con un po' di preoccupazione nella voce. «Lo sai che non riesce a dormire da giorni.»

«Certo. Dille che lo farò. Non appena lo troverò...» Annuii comprensibile, per poi stringerla in un abbraccio e salutarci definitivamente.

Ci scambiammo un lieve sorriso prima di perderci definitivamente di vista. Nessuna delle due era riuscita a nascondere la preoccupazione che provava. Sapevamo entrambe che Jason, invece di affrontare il lutto, avrebbe preferito darsi a tutt'altro.

Per Jason non esisteva cosa come il dolore emotivo, perché l'aveva sempre espresso solo come rabbia o disprezzo nei confronti delle persone. E questo lo aveva stranamente aiutato a scapparne. Ma scappare da ciò che si prova non lo rende meno reale.

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