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Jason alzò un dito verso di me come per dirmi "un secondo". Si concentrò nuovamente sulla chiamata e io mi alzai per aprire la finestra e far areggiare. In basso, sulla spiaggia, c'era una tavola da surf fissata nella sabbia.

Jason abbassò lo sguardo sul pavimento e io sbadigliai annoiata. «Sophia, non ho tempo stasera. Ti chiamo io quando ho tempo... No, non puoi venire- perché ho da fare...»

Immaginavo quali grandiose cose avesse da fare. Infine attaccò e sbuffò.

«Certo che sei un uomo impegnato Filston...», proclamai per prenderlo in giro. Mi sedetti nuovamente di fronte a lui.

Si rivolse nuovamente a me e indossò un sorriso forzato e distruttore. Sapeva come irritarmi. «Sono molto impegnato.»

«Ripensandoci ti darei più del ragazzino», ammisi divertita, notando il fastidio sul suo volto non appena scandii quelle parole. «Perché esci ancora con Sophia Smith? Pensavo non la sopportassi.»

«Non sopporto neanche te-»

«Infatti non andiamo a letto», enunciai saccente, ma irrigidii subito i muscoli, sentendo una strana sensazione. Forse disagio? Più probabilmente schifo.

Jason però non parve affatto scosso da ciò che avevo appena detto. «Non la sopporto, ma per scopare non deve essere simpatica.» Vomito.

Sospirai. «La bellezza esteriore è superficiale-»

«E pure un'ottima lettera di raccomandazione», mi interruppe con un ché di annoiato. Adesso cita pure Aristotele?

Fece per contrabbattere, ma cambiò subito argomento: «I miei sono partiti stamattina. Non te l'hanno detto?»

«Partiti?! No che non me l'hanno detto», manifestai sconvolta.

«Ma se ne stavamo parlando ieri a cena», proclamò lui saccente. Mi guardò con un sopracciglio inarcato e io arrossii. Forse con Claire avevo bevuto un po' troppo la sera prima.

Gli lanciai uno sguardo di sfuggita. «Ah, vero! Me ne ero dimenticata...»

Spalancai gli occhi per tornare a mangiare. «E Claire? Dove sta?»

Jason sbuffò, improvvisamente infastidito. Le sue dita lunghe gli passarono nei capelli. «Dal ragazzo. Ha lasciato un biglietto stamattina.»

Alzò un biglietto sul quale intravidi le parole "Charlotte" e "amicizia". Il mio viso di irrigidì, capendo che eravamo soli. Completamente soli.

Spalancai gli occhi. «Quindi siamo soli?...»

«Soli, soletti», ghignò Jason, quasi fosse una filastrocca. Lo squadrai da cima a fondo.

«Cos'hai da ridere? Tu ed io ci ammazziamo se stiamo da soli», dissi con un che di panico nel tono della voce.

«Si ciao. Qui se c'è uno che è capace di ammazzare l'altro sono io-»

«Che arrogante-»

«Io direi realista», sbottò saccente. Si posò le mani sui fianchi, poco sopra ai suoi anelli dell'amore.

Poi respirò a fondo, segno che stava perdendo la pazienza.

«Moore, ascoltami», mi rispose non appena si tranquillizzò. Si poggiò con entrambi le mani al bancone. «L'unica domanda è se lascerai che l'uomo di casa -me- ti porti a scuola in moto.»

«Primo, sei il ragazzino di casa, e secondo, vuoi accompagnarmi a scuola con la moto? Con quella moto?!», sbottai, puntando il dito verso l'ingresso dove il giorno prima avevo visto una moto nera parcheggiata vicino.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora