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Inspirai profondamente per cercare di calmare il battito cardiaco ormai a mille. Poi con occhi ghiacciati lo scrutai, i muscoli rispondevano con fatica ai miei ordini.

Lo trovai lì, ad un metro da me, ancora vestito con l'abito del diploma e con uno sguardo perso. Con solo una scintilla familiare nei suoi occhi. A quanto pare era venuto direttamente da scuola.

Quella vista di lui, così vulnerabile, mi fece quasi venire l'istituto di saltargli addosso e baciarlo con tutta la passione che mi tenevo dentro. Per lui.

«Perché sei qui?»

«Ti prego rispondimi», mi interruppe straziato.

Non aveva aperto la dentatura mentre esprimeva quelle parole. Era come se gli ci volesse più forza di quanta ne avesse per dirmelo.

Il suo viso era rigido, segno che era pure ancora abbastanza arrabbiato.

«A cosa?», domandai fredda.

«Non so, Charlotte... Forse perché hai baciato Jack Franco alla festa? Perché non mi rispondi alle chiamate e ai messaggi? Perché non mi parli più da giorni?!», urlò ardente, stavolta era arrabbiato.

Come se non sapesse il motivo di quel mio comportamento.

Scossi la testa straziata, non volevo più sentirlo parlare. Ormai anch'io mi sentivo sempre più arrabbiata. «Lo sai benissimo il perché-»

«E invece no! Non puoi pretendere da me che capis-», quest'ultime parole sembrava non volesse farmele sentire, erano come un sussurro. Un soffio tra le sue labbra.

Riuscivo con fatica a controllarmi dalla tentazione di saltargli addosso e mollargli cazzotti su cazzotti in faccia, ma per chissà quale miracolo non feci niente di tutto quello.

«Ah davvero?! Tu non hai fatto niente?», ringhiai solo, o meglio sussurrai a denti stretti e con i pugni serrati.

Sentii una goccia d'acqua cadermi sulla guancia destra, seguita poi da un'altra sulla punta del naso, poi un'altra. Nel giro di pochi secondi eravamo in mezzo al diluvio, senza sapere cosa fare.

Che classico...

«Infatti.» Odiavo il suo orgoglio. Non sapeva mai perdere.

«Filston. Perché non vuoi guardare un po' oltre al tuo stupido ego e realizzare che la colpa è solo tua?!», urlai, «Arianna mi ha raccontato della festa e di come vi dovevate incontrare in camera tua e poi-»

«Arianna?! Ma che c'entra lei? Ti giuro che non è successo niente-», non lo ascoltai perché ero convinta fossero tutte bugie.

«Ti prego fammi finire...», sussurrai, ormai non trattenni più una lacrima e la voce era pesantissima, «Quando quella volta mi hai detto che eri cambiato... avevi fatto qualcosa per ferirmi?»

«Charlotte, ti prego non piangere-»

Mi asciugai le lacrime. «Perché alla festa hanno detto che avevi scherzato con i tuoi amici su come sono a letto?»

Rimase perplesso. Evidentemente solo adesso realizzò il motivo per cui non gli parlavo. Sorprendentemente sorrise sollevato: «Charlotte, ma non è mica successo davvero-»

«Sei un bugiardo, Jason! Perché vi ho sentiti. Non solo hai parlato di come sono a letto, ma hai pure parlato di una presunta ragazza russa che... che ti sei scopato in barca.»

«Una ragazza russa?»

«Sì! Una dannatissima ragazza russa!», esclamai furibonda, «Perché devi fare sempre così?» Stavo per aggiungere qualcosa, ma parve che avesse da difendersi.

«Perché tu non ti fidi per un cazzo di me-»

«No! Certo che non mi fido di te!», urlai stavolta mi misi le mani nei capelli, «E quello che è successo l'altra sera ne è il motivo! Io dovrei odiarti!»

«Ascoltami!», urlò Jason su tutte le furie. «Conosci i miei amici! Non possiamo avere una relazione-»

«Tu- Tu sei assurdo!», controbattei puntandogli un dito contro. Gli occhi mi si stavano appannando per la rabbia. «Quindi mi tratti malissimo per uno stupido patto che hai con i tuoi amici?!»

«Non è uno stupido patto, Charlotte. A te può sembrare- però non... non... Porcaputtana, non trovo le parole.»

Mi passai una mano tra i capelli in ansia:«Jason, fai quello che ti pare.»

«Quello che mi pare?»

«Sì, quello che ti pare! Vai da Arianna, dalla ragazza russa, chiunque ti va! Tanto secondo i tuoi amici puoi solo scoparti ragazze in giro! Bè, vai!», esclamai esausta, nessuna delle parole che dicevo la intendevo. Maneggiai nervosamente nella mia borsa in cerca delle chiavi di casa.

Jason scosse la testa. «Lo farei.»

«Faresti cosa?»

Si avvicinò con furia, indicando con un dito alla sua testa, arrivandomi così vicino al viso che potei risentire il suo odore:«Lo farei se non avessi un'altra in fissa in questa cazzo di testa. Ti giuro che lo farei.»

Trattenni il respiro e rimasi in silenzio ad ascoltare il rumore del suo respiro e a sentire il suo profumo, talmente invitante che per un attimo pensai di cedere.

Il moro mi guardò senza sosta, impedendomi di poter divincolare il mio sguardo dal suo. «Se non avessi un'altra che non vuole smettere di tormentarmi ogni singolo secondo della mia cazzo di vita. In questa testa, Charlotte.»

Trattenni il respiro, non sapendo inizialmente cosa rispondere: «Facciamo finta che non sia successo mai niente, Jason.»

Jason scosse il capo. «No, perché so per certo non si tratta di quello che è successo alla festa.»

«Che diavolo stai dicendo adesso?», sbottai infuriata. Non capii la mia reazione, ma lui si.

Si morse il labbro con forza. «Si tratta del fatto che come sempre ti tiri in dietro- »

«Non è vero-» Ha ragione.

«Invece sì che è vero! Cazzo, ti conosco da diciassette anni-»

«E io conosco te da diciassette anni. E più ci penso più non voglio avere a che fare con te», esclamai coi pugni stretti sui fianchi. Le parole mi scorrevano di bocca senza controllo.

Il moro mi scrutò con impazienza, per poi sbuffare e allontanarsi con forza. Lo sentii poi ridere istericamente: «Non capirò mai perché non ti arrendi mai a quello che vuoi.»

«Smettila di fare come se mi conoscessi meglio di chiunque altro-»

«Ma io ti conosco meglio di chiunque altro!», mi contraddisse, in una risata isterica. Si portò i capelli con le mani indietro. «Conosco ogni minima parte di te. Cazzo, abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto per più di un mese.»

«Non significa che per questo tu mi conosca.»

«No, ma lo sento. E ti conosco abbastanza per sapere che quello che ho detto è vero. Che ti tiri sempre indietro e non voglio permettertelo, cazzo», urlò esausto.

Socchiusi le labbra e lui mi afferrò il volto con le mani. Indietreggiai sconvolta, quando Jason mi strinse a sé per baciarmi forte. Mi strinsi ai suoi avambracci per l'impatto e Jason inspirò forte.

Non appena trovai l'equilibrio però afferrai le sue mani per spingerlo da me. Jason indietreggiò di qualche passo, guardandomi deluso.

Odiavo me stessa perché Jason aveva sempre lo stesso effetto sul mio corpo. Volevo sempre più di lui.

Restammo immobili; sul suo viso non si leggeva nient'altro che pure rabbia. Come al solito. Forse non ne valeva più la pena provare a capire lui, invece.

«Non è vero. Non mi tiro indietro. Sei te che mi hai spinta via», proclamai seria, prima di voltarmi e precipitarmi in fretta in casa e correre al piano di sopra.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora