Charlotte e Jason si odiano, da sempre. Insomma... nemici per la pelle. Entrambi sono sicuri di conoscere l'altro.
Lei ha sempre visto lui come un ragazzo instabile, interessato soltanto a ragazze, droghe e casini.
Lui ha sempre visto lei come una...
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Sbattei con forza contro l'ingresso della scuola, ignorando le occhiate spaventate dei miei compagni.
Feci per avvicinarmi alla macchina di Allison per entrarci e andarmene, ma solo adesso mi accorsi di non avere neanche le chiavi per aprirla.
Che deficiente.
Sbuffai. Ero troppo orgogliosa e testarda per tornare dentro e chiederle le chiavi della macchina. Cercai tra le tasche della mia borsa, come se per magia potessero spuntare fuori dal nulla.
«Ei.» Mi immobilizzai sentenza quella voce. La sua voce.
Alzai lo sguardo dalla mia borsa per incontrare le sue iridi verdi. Era appoggiato alla sua moto, mentre mi porgeva un casco nero incontro con uno sguardo da cane bastonato. Potevo vedere evidentemente il labbro spaccato e come gli doleva alzando il braccio.
Alzai un sopracciglio. «Cos'è che vuoi esattamente?»
I suoi occhi erano incatenati ai miei, mentre si passò una mano tra i capelli e si scostò dalla sua moto.
«Non sei uno scarto», disse poi Jason, sospirando.
Annuii alzando il mento con fare altezzoso, non del tutto convinta della sua sottintesa scusa. «Questo già lo sapevo. Mi chiedo soltanto come pensi che io possa perdonarti.»
Rimase un paio di secondi in silenzio, scrutandomi con serietà. Qualcosa mi diceva che stavamo pensando entrambi alla sera precedente.
«Ti do un passaggio», mi disse, spostando lo sguardo sulla BMW accanto a me, mentre alzò le sopracciglia come per dire: "tanto so che non ce le hai quelle chiavi".
Cavolo.
Lo guardai con sguardo altezzoso. Alzai la testa per sembrare più autoritaria. «Rispondimi alla domanda, Filston.»
Il moro sorrise leggermente di gusto, ma la ferita sul labbro non glielo permetteva molto.
«Sai che mi dispiace, Moore. Sono un coglione.»
No che non lo sapevo.
Incrociai le braccia, negando col capo. La sua maglietta bianca faceva intravedere i suoi pettorali e le clavicole fregavano contro il tessuto.
«Non è abbastanza», dissi.
«Dio, se sei difficile», sbuffò, sebbene divertito. Oscillò sui suoi talloni per guardarmi pensieroso.
Ha parlato lui.
Scrutai il suo ghigno con le braccia ancora incrociate al petto. Jason si fece serio, con un'espressione che diceva "smettila di ridere o ti spacco la faccia".
«Non è ancora abbastanza, Filston», ripetei sospirando. «Ieri non mi hai neanche lasciato il tempo per dirti che Jack l'ho lasciato. E volevo farlo da tempo.»