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28 Luglio 2021

«Papà! Torno tra qualche ora», salutai mio padre sulla porta di casa.

Le mie valigie erano già pronte per essere caricate nella macchina, ma la mia mente non lo era. Veramente non ero pronta ad andarmene dalla California, dalle spiagge calde e poi trasferirmi per i prossimi anni all'università di Yale.

Mio padre era fiero più che mai della sua "bambina", mentre mio fratello pareva non vedere l'ora di avermi fuori di casa. Tanto sapevo che fra qualche settimana mi avrebbe chiamata in preda ad una crisi isterica e io avrei risposto allo stesso modo.

«Dove vai?», mio padre sbucò dalla porta conducente in salone.

Sentivo la preoccupazione nella sua voce e la tristezza era quella a regnare. Il mio papà che avrebbe dovuto sopravvivere senza di me.

Strano a pensarci.

Più che altro io che avrei dovuto sopravvivere senza di lui, senza di loro. La mia famiglia, Allison e Hayley, con le quali tra l'altro avevo cercato di trascorrere più tempo possibile in quelle settimane. E anche Jeff e Sebastian. Il primo che non aveva mai pensato ad ascoltare i miei consigli e l'altro che faceva lo stesso.

Ma sapevo che soprattutto mi sarebbe mancato Jason. Ci era stato chiaro che non ci sarebbe stato possibile vederci per il mio semestre d'università. Lui sarebbe andato in Europa a cercarsi un lavoro e saremmo tornati entrambi solo dopo Natale.

Il mio libro era finito; la ragazza si libera dei suoi mostri interiori e si lascia andare alle sue passioni (scrivere) e ammette al ragazzo che pensava di odiare di amarlo. Sì, alla fine era diventata una vera e propria autobiografia.

Finché non l'avesse letta nessuno sarebbe stata al sicuro nel mio computer, sigillato tra i numerosi documenti. Non sapevo se all'università avessi avuto tempo per scrivere. Avrei fatto la Buisness School e mi sarei dovuta concentrare pienamente su quello, per rendere fiero mio padre.

«Vado a vedere l'ultima volta Jason», gli risposi un po' troppo acida, ma era la partenza che mi metteva in quello stato e lui lo sapeva.

Abbozzò un sorriso. Si appoggiò con braccia e gambe incrociate alla porta per scrutarmi con attenzione.

«Alla fine avevo ragione io. Alla fine era innamorato di te», disse con orgoglio. Gli sorrisi divertita, eppure mi sentivo ancora più triste.

«Hai sempre avuto ragione papà», gli dissi prima di abbozzare un sorriso e uscire senza aggiungere altro.

Non feci in tempo a chiudermela alle spalle che sentii un motore rimbombare nel vialetto. Mi girai furiosa, trovandomi il deficiente seduto a cavalcioni sulla sua moto. Mi guardava con un ghigno sul viso.

Gli regalai un'occhiataccia esprimendo tutto il "disprezzo" che nutrivo per quel gesto, ma lui continuava a sorridermi. A quel sorriso che mi faceva sciogliere sempre.

«Moore, che fai? Vuoi restare lì per tutta la mattinata o deciderti a venire?», mi chiese divertito. Sbuffai indirizzandomi verso di lui.

Non c'era una nuvola in cielo e i gabbiani urlavano a squarciagola, ma per la prima volta ero contenta di sentire quei suoni assordanti.

Quando lo raggiunsi davanti alla sua moto gli misi le mani intorno al collo e lui sui miei fianchi. Lo baciai con dolcezza. Stavo per perdermi nelle sue labbra che mi ricordai di dove ci trovavamo e che "qualcuno" poteva osservarci. Sto parlando sia di mio padre che di mio fratello.

«Sai, dovremmo andarcene dalla visuale della mia famiglia», gli sussurrai all'orecchio non appena mi staccai da lui. Lo sentii ridere di gusto.

«Sicura? Sai tuo fratello avrebbe bisogno di una lezione e fargli capire che è il capo-»

«Deficiente!», esclamai scioccata, dandogli un pugno sulla spalla. Gemette per il dolore, «Te lo sei meritato, pervertito. Ora portami via di qui», gli ordinai imitando con gesti un'antica scena del teatro, facendola il più elegante possibile.

«Un per favore no?»

Lo guardai attentamente negli occhi, cosa a quanto difficile dato che ero già seduta dietro di lui. Il casco in testa e la mani introno alla sua vita. Gli lasciai un bacio a stampo sulle labbra lasciandolo sorpreso da quel gesto improvviso.

«Per favore», mormorai, imitando la voce di una bambina che chiede il gelato al padre.

Jason mi prese la guancia tra due dita e me la strattonò evidentemente apposta. Proprio come fanno i pareti non appena ti vedono agli incontri di famiglia.

Posso ancora ucciderlo e scampare la prigione...

«Va bene piccola bambina. Come desideri», mi assicurò con il suo solito sorrisetto compiaciuto, poi si girò e mise in moto.

Mi feci il più stretta alla sua schiena e strinsi forte la presa introno al suo ventre, mentre mi appoggiai con testa alla sua schiena coperta solo da una maglietta. Chiusi in pace gli occhi per ascoltare il rumore del mare a poco da noi.

«Guarda che caduta che ha fatto quello», urlò Jason per contrastare il vento, prima di puntare col dito verso un gruppo di ragazzi che stava surfando.

Ridacchiai, prima di avvicinarmi al suo orecchio ed esclamare: «Mi ricorda tanto qualcuno...»

«Sisi, come no.»

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