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10 Dicembre 2020

«Allora in cosa sei così brillante come dici tu?», gli domandai, mentre mi portai la bottiglia di Wiskey alle labbra. Non mi bruciò molto, ma tossii comunque.

Jason si alzò da per terra, dove si era seduto accanto a me e si avviò un po' traballante verso il mare. Ma cosa stava facendo?
Dopo qualche secondo ritornò con qualcosa tra le mani. Era ubriaco fradicio, ma in fondo lo ero anche io.

Mi mise tra le mani una conchiglia color panna, per poi richiudermela e lasciarmi un lieve bacio sopra.

Mi provocò dei brividi sentire le sue labbra bagnate per il tuffo che si era fatto per prendermi quella conchiglia, solo per me.

«Per quanto tu sia bella», borbottò, mentre si lasciò cadere a terra accanto a me, sulla sabbia umida.

Aveva appena detto che ero bella?

«Non mi hai risposto», gli ricordai, adagiandomi accanto a lui. Era bellissimo osservare le miliardi di stelle sopra di noi, luccicare come non mai.

«Moore, mi hai mai visto giocare a Football?! Prenderò una borsa di studio per quello... mio padre non aspetta altro da quando sono nato», mi rimproverò ridendo, poi nell'ultima frase sentii un filo di malinconia.

«Quindi lo fai solo per tuo padre?»

«Bè... no...»

Ovviamente sapevo quanto lui fosse bravo in quello sport, ma se gli avessi dato ragione non mi sarei divertita. Sul fatto del padre non aggiunsi niente, perché era lui che decideva e la mia opinione era irrilevante.

Eppure pensai a quanto sarebbe stato uno spreco buttare una mente sveglia come la sua. Erano anni che i professori glielo ripetevano.

«E tu?», domandò.

Girai in volto verso di lui, trovandomelo e pochi centimetri dalla mia pelle. Puzzavamo entrambi di alcool e questo, senza motivo, mi fece sorridere.

«Niente di che...», mormorai, cercando di sembrare il più impassibile possibile, ma lui come sempre se ne accorse. «Suppongo non tutti abbiano qualcosa in cui sono bravissimi.»

«Cazzate. So che sei brava a scrivere», sussurrò, scrutando ogni centimetro del mio viso, come se fossi un'opera d'arte da studiare con attenzione.

«Co-cosa?»

Mi misi a sedere con rabbia, lui però sembrava ancora tranquillo. Come se non fosse successo niente alzò il capo verso il cielo e chiuse gli occhi, respirando a fondo l'aria salata del mare.

«E tu come lo sai?», lo rimproverai, ma conoscevo già la risposta.

«Ho letto il tuo libro», sussurrò, le parole diventavano sempre più sfocate, «Amo il modo in cui scrivi.»

Lo vidi respirare a fondo e socchiuse gli occhi in due spiragli. Il volto ancora puntato verso il cielo stellato.

«Hai letto il libro che ti ho dato?», mi domandò.

Sospirai. «"Guerra e pace"? No, non fino a che tu non inizi a leggere "il Grande Gatsby".»

Incrociò le dita sotto alla testa per poggiarcisi e scrutarmi con le sopracciglia aggrottate. «Guarda che l'ho iniziato a leggere. Te l'ho pure detto, ma sai che non mi ha preso.»

«Ma perché?», domandai offesa. Quello era uno dei miei libri preferiti.

Jason si mise a sedere per voltare il busto verso di me e sorridere. «Perché sì. E tu non puoi giudicarmi fino a quando non inizierai a leggere "Guerra e pace".»

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