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28 Ottobre 2020

Per i due mesi seguenti ero riuscita ad evitare l'alcol, le feste, i litigi e tutto quello che aveva a che fare con i ragazzi.

«Charlotte!», sentii mio padre chiamarmi dal terrazzo con la sua solita voce autoritaria. Ultimamente era più stressato del solito.

«Arrivo!» Attaccai il telefono in faccia a Hayley, la quale mi stava raccontando delle sue avventure con il Signor Michaels come al solito. Mi recai al piano inferiore per raggiungere mio padre.

Mi faceva uno strano effetto parlare con la mia amica delle cose sconce che faceva col nostro professore, ma credetemi che se sapeste di cosa si parlasse avreste dato di tutto per sentirlo.

Trovai mio padre in piedi ad osservare il tramonto rossastro con sguardo malinconico e poetico come sempre. Lo raggiunsi, mettendogli il braccio attorno alla schiena e stringendolo in un caloroso abbraccio.

«Sì, papà?», lo invitai a seguire.

Mi guardò coi suoi occhi scuri e si posizionò davanti a me serio. Era insoluto, il che mi preoccupò.

«Devo andare per un mese a Dubai. Lo sai com'è con l'agenzia...», iniziò, spostando stavolta lo sguardo dal mio volto verso la vetrata di casa nostra, come se volesse scappare dal mio. «Ti ricordi che te ne avevo parlato?»

Sospirai. «Sì... Quanto resterai via?»

«Ecco, non è sicuro. Per questo te ne volevo parlare.»

«Cioè? Non è un problema. Cole ed io siamo già rimasti altre volte da soli a casa.»

Inarcò un sopracciglio. Sperai che potessimo restare soli a casa. Ma purtroppo, dato che mio padre era a conoscenza della passione di me e mio fratello per le feste, aveva deciso di non fidarsi più di noi.

Una volta era tornato a casa da un viaggio esattamente nel momento prima che Cole si buttasse dal secondo piano in piscina.

«Ho già parlato con la madre di un amico di Cole e lei ha detto che lo terrebbe con sé...», iniziò e spiegarmi, ma la ruga in mezzo alla fronte mi assicurò che non era finita lì.

«Io posso restare qui con Al-»

«Come no. Ti ricordi quando ha spostato tutti i mobili in salotto e ha provato a convincermi a dipingere i muri...», mi ricordò, facendo così svanire ogni mia speranza.

«E allora resto da sola?», chiesi dunque confusa, passandomi una mano nei capelli.

E 3,2,1...

«I Filston hanno detto che ti terrebbero con sé-»

«Oh no. Nonono...», mi scappò senza alcun controllo. Spalancai gli occhi.

Mi tappai la bocca con la mano spaventata per la sua espressione furiosa.

No, no, no, no... Io un mese con i Filston non ci restavo. Niente contro i Filston. Erano adorabili, ma Jason...

Mio padre mi puntò il dito puntato contro il viso. «Ho già accettato, quindi vai a fare le valigie che ti porta da loro domani sera-»

«Domani? E perché me lo hai detto solo adesso?»

Sbuffò. «Per non dover sopportare questa situazione troppo a lungo», mormorò tra sé e sé.

Non capivo niente di tutto quello che stava succedendo e tanto meno perché fra tutte le persone al mondo dovessi andare proprio a casa dei Filston. Il problema era che mio padre era amico d'infanzia della madre di Jason. E sinceramente anche io le avrei affidato mia figlia.

«Non discutere Charlotte. Non ho il tempo o l'energia per discutere con te», mi supplicò, indicando la mia stanza due piani più in sù, «E adesso vai!»

Per paura di cosa potesse succedere prossimamente, me ne tornai senza aggiungere nulla a testa bassa nella mia stanza a preparare quella dannata valigia.

Jason-deficiente-Filston non sarebbe riuscito a rovinarmi quel mese di vita. Non glielo avrei permesso.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora