Il viaggio da casa mia fino a quella dei Filston sembrava durare un'eternità (nonostante durasse soltanto cinque minuti in macchina).
Ero seduta sul sedile accanto a mio padre. Il suo abbigliamento elegante contrastava il mio casuale. Tentai ancora un paio di volte a convincerlo a lasciarmi da Allison, ma non servì a niente.
Le mie cuffie suonavano un qualche pezzo techno al massimo del volume e la mia testa era poggiata al finestrino. Ascoltare la techno mi aiutava a svegliarmi la mattina e in più era in sintonia con il mio pessimo umore.
Tom mi aveva scritto nuovamente quella mattina. >Allora?? Hai cambiato idea?< diceva il suo messaggio.
Guardai il suo messaggio con una smorfia di disgusto. Pensai a qualcosa di spregevole da rispondergli, ma sapevo che nulla era abbastanza per allontanarlo.
Arrivati sotto alla villa bianca affacciata sul mare, non potei fare a meno di ammirare i dettagli originali della casa. Mi sentivo un po' ridicola ad indossare solo i pantaloncini grigi e la maglietta nera. Però era sabato mattina. E io amavo i sabato mattina.
Scesi dall'auto strizzando gli occhi per il sole. Lasciai un auricolare nell'orecchio.
Sbadigliai, quando ci vennero incontro i due coniugi Filston con le braccia aperte e un grande sorriso. Come possono essere i creatori di quell'essere spregevole?
Il mio imbarazzo crebbe quando vidi che erano vestiti eleganti come mio padre. Le mie guance briciarono e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe.
«Jason!», esultò mio padre.
Mi schiarii la gola per vedere Jason-deficiente-Filston uscire dalla porta principale e appoggiarsi alla parete nera della villa. Il suo sguardo noncurante si fissò nella nostra direzione.
«Charlotte! Michael! Che bello vedervi!», ci salutò Ana.
Ci baciò entrambi con forza e lasciò delle sfumature del rossetto rosso che aveva addosso. Il marito si limitò a darci la mano sorridendo.
Sinceramente non credevo di avere mai scambiato più di due parole con il signor Filston. A volte era un uomo troppo freddo anche secondo mio padre. E in più non era mai a casa, per cui la sua presenza era più che inaspettata.
«Grazie a voi di avere accettato di ospitare Charlotte. Ve ne sarò per sempre grato, Ana...»
La donna abbracciò mio padre con un ché di affettuoso. «Non ti preoccupare, Michael. A casa tutto apposto?»
«Sisi, tutto apposto.»
Ana spostò lo sguardo sulla macchina e le mie valigie posizionate accanto. Mio padre e il signor Filston si iniziarono a scambiare due parole.
«Hai bisogno di aiuto, Charlotte?», mi chiese gentilmente Ana.
«No gra-»
«-Jason, puoi aiutare Charlotte per favore? Ti abbiamo preparato la stanza al piano di sopra, cara.»
«Grazia Ana», mormorai.
Non potei nascondere un sorriso a vedere Jason Filston messo in imbarazzo per essersi fatto comandare a bacchetta dalla madre.
Purtroppo però la sua espressione non era affatto imbarazzata.Si scostò dall'entrata con un sorriso, strinse calorosamente la mano a mio padre, mi lanciò un'occhiata di sfida, per poi afferrare le mie numerose valigie e portarsele senza fatica dietro.
Sapevo che non era veramente così facile come lo faceva sembrare. Così decisi di farglielo più complicato e gli appesi la mia borsa attorno al collo come un collare.
Sorrisi. «Potresti portarmi pure questa, per favore? Ecco qua.»
La sua faccia era straordinaria, impagabile; aveva aperto leggermente la bocca ed ero sicura che avrebbe voluto urlarmi in faccia "STRONZA!" come gli era solito fare. Ma rimase in silenzio e sorrise di nuovo. Cosa?
«Puoi pure seguire subito Jason fino in camera tua», mi invitò Ana.
«Va bene... Papà.» Lo salutai con un bacio sulla guancia e seguii il mio trolley portato dal deficiente. Arrivammo in silenzio in quello che doveva essere l'ultimo piano della casa.
«Ti piace farti trattare da principessina, eh?», disse Jason, ansimando mentre salivamo le scale.
Aumentai il passo per metterlo ancora più in difficoltà. «Solo se si tratta di te, Filston. E a te piace farti schiavizzare?»
Non mi dovetti voltare per sapere che stava facendo una smorfia irritata. Fece cenno col capo sulla porta e l'aprii. La stanza era quella di sempre; un baldacchino con le tende trasparenti bianche, un armadio, una televisione, un bagno... Quando eravamo più piccoli Cole ed io dormivano sempre in questa stanza, quando mio padre andava via per lavoro.
C'era persino appeso uno dei disegni di Cole sul muro.
«La signora è servita», sentii Jason dire non appena adagiò i miei bagagli a terra, accanto all'armadio.
Attraverso il tessuto della maglietta bianca potevo riconoscere i suoi muscoli tesi. Non appena si sollevò si passò una mano tra i capelli mori per respirare con forza tra i denti.
«Signora?», lo provocai, cercando di parere offesa.
Mi lasciai cadere come un sacco di patate sul letto accanto a me. Mi aveva attirato a sé da quando eravamo entrati.
Il moro alzò le mani in aria in segno di difesa, mentre fece un ghigno da vero idiota. «Lo sai che in alcuni paesi non si usa più l'etichetta di 'signorina'? Pensavo fossi rivoluazionaria-»
«Filston. Esci. Ti giuro che non ho tempo per te adesso», borbottai, massaggiandomi le tempie. Aveva dannatamente ragione però.
Jason però mi ignorò, sedendosi sulla sedia della scrivania. «Però mi annoio.»
«Bè, questo è un problema tuo.»
«Simpatica che sei...», mi disse con tono sarcastico. Lo imitai con una smorfia, ma lui ignorò il mio comportamento.
Restò un po' lì ad osservarmi, sdraiata sul letto sfinita. Chiusi gli occhi e mossi il piede al ritmo della canzone negli auricolari. Stava suonando "Heute Nacht" di Maddix.
Aprii un occhio. Jason aveva preso in mano un cubo di rubik per iniziare a giocarci tranquillo. Quanto odiavo quando faceva così. A volte sembrava proprio un imbranato; solo lui giocava a diciotto anni da solo.
Mi misi a sedere per fulminarlo con lo sguardo. «C'è altro?», gli domandai spazientita.
Jason fece spallucce. «Non credo, no.»
«Perfetto. Allora esci.»
Incrociò le braccia al petto per guardarmi con un sopracciglio alzato. Ma non mi scomposi, rimanendo con aria confusa ad osservarlo. Ci scambiammo degli sguardi velenosi, ma nessuno dei due si scostò.
Sospirò irritato. «Un grazie non ti uccide mica.»
Forse sì invece. D'altronde a lui non l'avevo mai sentito dire un "grazie". Conoscendolo, non sapevo neanche se ne fosse capace. E io non avevo mai ringraziato lui, perciò non c'era motivo di iniziare a farlo. Avrebbe potuto dare un'idea sbagliata; l'idea che non lo odiassi.
«Grazie Filston... ora se non ti dispiace voglio restare da sola a disfare le valigie», lo misi al corrente, prima di rifarmi cadere con le braccia distese sul materasso. Gli occhi già chiusi.
Gib mir noch ein halbes Teil und heute Nacht wird super geil... faceva la canzone.
Sentii ancora lo sguardo di Jason sul mio corpo, non in modo pervertito, mi stava semplicemente scrutando.
Jason ed io ci eravamo sempre chiamati per cognome. Penso che nessuno dei due si ricordasse il motivo.
Ad occhi chiusi gli feci cenno con la mano verso la porta. Cosa me ne importava di essere cortese con Jason, tanto? Era Jason.
Lui sbuffò irritato. «Vaffanculo.»
Si sbatté forte la porta alle spalle.
Sospirai e pigiai sul telefono per cambiare la canzone.
STAI LEGGENDO
Thunders
FanfictionCharlotte e Jason si odiano, da sempre. Insomma... nemici per la pelle. Entrambi sono sicuri di conoscere l'altro. Lei ha sempre visto lui come un ragazzo instabile, interessato soltanto a ragazze, droghe e casini. Lui ha sempre visto lei come una...