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Nell'oscurità una lieve luce proveniente dalla finestra mi fece svegliare serena dal mio sonno

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Nell'oscurità una lieve luce proveniente dalla finestra mi fece svegliare serena dal mio sonno.

Cavolo.

Non sapevo cosa dovessi fare; se alzarmi e fare finta di niente o parlarne con lui e magari chiarire quello che era successo la scorsa sera.
Mi girai con fatica verso la parte interna del letto, trovandola vuota. Nessuna traccia di Jason Filston.

Potei sentire con chiarezza il suo odore tra le coperte ed entrarmi a fondo nelle narici. Sorrisi pensando al suo sorriso.

Decisi di andare a cercarlo. Mi alzai dal letto per andare a vestirmi. Solo in quel momento mi accorsi di avere addosso solo la sua camicia che mi aveva fatto indossare per tenermi protetta dal vento la sera prima.

Il mio sguardo cadde sulle gocce d'acqua sparse per terra, pensando a quando avevamo fatto a battaglia di spruzzi d'acqua prima di andare a dormire.

Quel bastardo è riuscito a inzupparmi. Eppure sorrisi, pensando a quando era scivolato sul sedere quando aveva provato a rincorrermi.

Spalancai di colpo la porta davanti a me e corsi il più veloce possibile verso la cucina. Non mi curai del fatto che indossavo solo mutande e camicia.

C'era un venticello fresco che soffiava per la casa, probabilmente la porta scorrevole era rimasta aperta dalla sera prima.

Non appena misi il mio piede sul primo scalino della scala a chiocciola mi sembrò già di sentire il suo profumo inalarmi nei polmoni. Un'essenza che causava dipendenza ai miei sensi.

Mi venne incontrollato di sorridere di più ad ogni passo verso di lui. Desideravo solo trovarlo in costume come sempre a leggere il suo libro, preferibilmente "Guerra e Pace". Perché lo rendeva più sereno e socievole.

Mi fermai quando lo trovai in piedi davanti ai fornelli. Come sperato indossava il costume per surfare e i suoi capelli erano indomabili sulla sua fronte.

Rimasi in silenzio, spostai solo lo sguardo sul tavolo a pochi metri da lui. Era apparecchiato per due persone e con in mezzo quella che doveva essere la nostra colazione.

«Guarda un po' chi si è finalmente svegliata», sussultò con provocazione non appena mi riconobbe al culmine della scala, «Ti ho mai detto che russi come uno scaricatore di porto?»

Feci una smorfia. «Sì, Filston. E io ti ho già risposto che sei solo invidioso, perché dormi come un bambino.»

Vidi qualcosa di diverso nei suoi occhi, forse era soltanto stanco o forse era la colazione esposta poco lontano da lui.

«Cosa fai?», chiesi avvicinandomi con un ghigno ai fornelli.

Cercai di sbirciare la "cosa" che stava cucinando ai fornelli, ma lui si intromise, mettendocisi davanti. Aveva il suo solito sorrisetto in volto mentre incrociò le braccia.

«È per caso un segreto?», ridacchiai.

Dimmi cosa c'è li dietro o ti levo quel sorrisetto dalla faccia?

«Si chiama sorpresa, Moore», mi corresse il moro, sottolineando con tono il mio cognome. «So che odi le mie sorprese, ma per una volta-»

«Va bene, va bene. Ho capito», mormorai senza fiato. «Non farò storie.»

«Wow. Assurdo. Sono riuscito a farti assecondare. Finalmente.»

Di colpo mi sentivo persa nella luce dei suoi occhi abbaglianti. Ok frena la sdolcinatezza. Avevo l'impressione che anche lui stesse facendo lo stesso. I suoi occhi erano incatenati ai miei, impedendomi in tutti i modi di distoglierli.

Era la mia condanna, Jason Percival Filston. Lo so non chiedete per il secondo nome. Ma almeno il suo era molto meglio di quello di mio fratello. Cioè, sinceramente... John.

Jason volse la testa nuovamente verso i fornelli, armeggiando con chissà che cosa. Ad ogni suo movimento i muscoli della schiena si contraevano. Mi poggiai con i gomiti al tavolo della cucina per scrutarlo in silenzio. Tom gli ha dato per caso lezioni di cucina? Adesso vuole fare lo chef.

Jason si accorse del mio sguardo, infatti lo sentii ridere divertito. Io al contrario arrossii spudoratamente.

«Ti senti bene?», si assicurò per svegliarmi dal mio stato di trans.

«Sì. Perché?» Mi rimisi diritta e raccolsi i capelli in una coda.

Jason si fermò per guardarmi e accennare un sorriso. «Intendo... ti senti bene dopo quello che... abbiamo fatto ieri?»

Arrossii ancora di più, ma non mi voltai. Non avrei mai pensato di parlare a lui della mia prima volta, ma avendola avuta con lui non potevo evitarlo.

«Se devo essere sincera sto-sto bene», balbettai, mentre giocai con la punta dei miei capelli. «Niente di davvero... diverso. E poi puoi pure dire che abbiamo fatto sesso. Non abbiamo dodici anni.»

«Stavo frenando la lingua per te.»

«Bè, non farlo.»

«E va bene. Cristo, lo avevo fatto per te», enunciò sulla difensiva. Inarcò un sopracciglio, ma poi sorrise.

«È stata davvero la tua prima volta?»

«Jason...» Sospirai per sedermi al tavolo. «È al quanto imbarazzante.»

«Imbarazzante?»

«Sì.» Incrociai le dita delle mani, sentendo le guance bruciare.

Chissà cosa doveva pensare; avevo aspettato quasi diciotto anni per perdere la verginità, per perderla infine con lui. E se si fosse chiesto il perché? E se si fosse dato la risposta giusta? 

Jason spense i fornelli per inginocchiarsi davanti a me e prendermi le mani tra le sue. Posò la guancia nel palmo della mia mano. «Ti senti in imbarazzo per aver fatto sesso con me?»

«Jason!»

«Cosa?», ridacchiò solo per farmi sorridere, «È vero. Quindi? È così?»

Scossi il capo per posare lo sguardo fuori dalla finestra. «Che palle che sei. Non mi sento in imbarazzo, ok?»

«E allora cos'hai?»

Sbuffai incerta. Gliene avrei dovuto parlare? Prese a segnare con il pollice dei cuori sul palmo della mia mano mentre restò a scrutarmi in attesa di una risposta.

«Ecco... non voglio che tu pensa che sono una... sfigata che aspetta tanto tempo per perdere la verginità... e infine la perde-»

«-Char. Non ha senso quello che stai dicendo», sghignazzò, e aveva ragione. Poi corrugò la fronte. «Dovrei prenderla come un'offesa?»

«Un offesa? Perché?»

Spalancò gli occhi. «Bè. Sei evidentemente in imbarazzo per aver perso la verginità con me-»

"-Perché capisci sempre male?», lamentai. Sospirai e alzai gli occhi al cielo.

Stavo girando intorno al punto con giri di parole insensate. Mi portò una ciocca dietro all'orecchio e socchiuse le labbra per incoraggiarmi a spiegarmi. Presa dal panico decisi di zittirci entrambi, baciandolo.

Gemetti piano non appena mi strinse con forza con le braccia in vita. Il suo corpo pressato contro il mio, il mio respiro mischiato al suo, i nostri cuori in sincronizzazione. Un battito contro l'altro.

Non so da dove quel coraggio arrivasse, però in un secondo momento decisi di non farmi troppi scrupoli e di lasciarmi andare tra le braccia angeliche.

Mi posò le mani sui fianchi per farmi sedere a cavalcioni su di lui. Strinsi le braccia al suo collo per assaporare il gusto della sua bocca.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora