4. Fiducia

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"Io sono Erika"

Subito dopo che la voce si interrompe, le sue parole cominciando a partire nella mia mente come un disco rotto. È qui che si dice ironia della sorte.

Vedendo la mia titubanza nel rispondere, a causa del non sapere cosa dire, riprende a parlare. «Vengo dal Connecticut, e sto cercando di rientrare nel dormitorio universitario, perché sto alloggiando da mia zia a Beverly Hills, e per ora mi tocca fare avanti e indietro con il bus. È comodo, anche perché non è tanta la distanza, ma non posso dar fastidio a mia zia all'infinito. Già che al momento sto da lei è tanto, ma lo sto facendo solo per obbligo di mio nonno. Io, dal canto mio, non avendo trovato casa, non volevo più venire neanche all'università, senza neanche cominciare, perché non sapevo come fare, e anche se io odio "sfruttare" gli altri, mio nonno mi ha costretta ad andare da mia zia, perché l'ultima cosa che vuole è che io rinuncio al mio sogno.»

Si ma con tutto ciò? Perché dovrebbe importarmi la storia della sua vita?

Le faccio intuire il mio "non interesse" senza essere scortese, anche se mi riesce difficile. Ma perché la gente qui è così invadente e insistente? Non posso semplicemente stare da sola?

«Okay, scusami di nuovo. Se proprio vuoi, me ne vado, ma sappi che volevo solamente una compagnia per capire i vari spazi dell'istituto, e soprattutto volevo un'amica con cui condividere la mia emozione, passare del tempo, e conoscere. Sono nuova in questa città, e non conosco neanche la mia ombra qui presente, e la presenza di qualcuno mi potrebbe far sentire meno sola. A quanto pare, però, ho scelto la persona sbagliata.» Termina con voce leggermente spezzata e mi supera, salendo le scale.

Sentendomi in colpa per il mio menefreghismo, faccio un respiro profondo e la raggiungo, fermandola.

«Non ti chiedo scusa per il mio comportamento, e non ti diró che mi dispiace, perché non è nel mio stile, ma posso farti compagnia, anche perché non meriti il male. Se il mio istinto non sbaglia, credo che tu sia comunque una ragazza solare, vivace e delicata.» Okay, sono costretta a mordermi la lingua per tutto quello che ho detto.

«Grazie...» Indugia un po' sulla sua risposta. «Tu, invece, sembri molto riservata, e scusami la sincerità, ma anche un po' antipatica e altezzosa.»

La guardo con gli occhi sgranati. Non mi aspettavo una risposta del genere da lei. La vedevo più come una ragazza timida e che ha paura di dire ciò che pensa.

Vedendo che non rispondo, decide di cambiare argomento.

«Dunque, qual è il motivo principale che ti ha spinta a scegliere questa facoltà?»

«Varie cose in cui mi rivedo e che ho vissuto nel corso degli anni. Diciamo che è l'unica disciplina che ho a cuore.» Dichiaro, anche se con molta titubanza. «A te, invece?»

«Io sono una ragazza che ama aiutare le altre persone. In modo particolare mi piacciono i bambini, e mi rende molto triste la sofferenza, soprattutto a quella tenera età, infatti il motivo principale per cui ho scelto questa facoltà, è perché poi vorrei fare la specializzazione in psicologia dell'infanzia, e magari riuscire ad aprire un mio studio. Ciò che più mi ha convinta in questa scelta è stato il mio fratello minore, che è morto di depressione all'età di 7 anni, buttandosi dal balcone di casa.» La sua voce si fa spezzata e i suoi occhi si inumidiscono, tanto da portarla ad abbassare lo sguardo, e sopprimere qualche singhiozzo.

La quando tristemente, ma le mie labbra non riescono a pronunciare le parole "mi dispiace", e nessun'altra parola di conforto. Sono senza cuore.

Non mi va neanche di dirle che la capisco perfettamente, anche se io non l'ho vissuto da altre persone, ma su me stessa. Non mi va di raccontare gli affari miei agli altri.

«Dunque, basta. Mi conviene cambiare argomento, altrimenti finisco in un mare di lacrime.»

Dopo aver dato un'occhiata alle varie aule, mi saluta, dovendo tornare dalla zia, e dopo un mio piccolo cenno di saluto, se ne va.

Prima di andare via anche io, passo a dare un'ultima occhiata all'aula di pedagogia, la mia prima lezione di domani mattina. Devo focalizzare bene il posto, altrimenti alle 9:00 di mattina starò a girare a vuoto per i corridoi, invece di stare in aula a sentire la lezione.

Nel mentre sto facendo dietrofront per uscire dalla Pepperdine, vengo catapultata a terra con violenza, sbattendo la testa sul pavimento.

«Oddio, scusami. Andavo di fretta e non ti ho vista. Stai bene? Ti sei fatta male?» Sento blaterare, e non ci metto molto a capire chi è lo squilibrato in questione.

Evito di rispondere e fare una scenata, cerco di rimettermi in piedi e cerco di allontanarmi, anche se con la testa che pulsa mi riesce difficile mantenere l'equilibrio.

«No, aspetta. Hey, davvero, mi dispiace e non l'ho fatto con l'intenzione di farlo.» Mi raggiunge di nuovo.

«Ah no? A me sembra che stai facendo tutto in modo intenzionale. Sei ovunque, in ogni angolo dove io sono presente, e ti assicuro che questa cosa è davvero snervante, e non solo, perché è anche inquietante. Sarai uno stalker, una spia, o persino un serial killer, ed io delle persone come te non mi fido. Non accetto neanche la loro ombra nelle mie vicinanze. Quindi ora sei pregato di allontanarti e girare a largo da me, altrimenti te la vedrai male. E sappi che ho tutt'altro che l'aria di una che scherza.» Lo metto in guardia, e mi volto per l'ennesima volta.

«Ti assicuro che ti stai completamente sbagliando sul mio conto. Non sono nulla degli aggettivi che mi hai affibbiato, ed ora ti do anche le dimostrazioni: se fossi uno stalker, ti avrei derubato, ti avrei pedinato in silenzio per vedere dove abiti, e ti avrei teso trappole per rapirti; se fossi una spia, avrei cercato informazioni sul tuo conto online, arrivando ai tuoi dati personali, e i tuoi atti illeciti; infine, se fossi un serial killer, non mi sarei neanche preso la briga di presentarmi a te e farmi conoscere, ma ti avrei direttamente presa di spalle, appena saresti stata da sola, e ti avrei pugnalata, nascondendo anche il tuo cadavere in fondo all'oceano. Credo che più chiaro di così non potrò essere.»

«Comunque ciò non toglie che non mi ispiri la minima fiducia, e non ti conosco neanche.» Rispondo dopo un po'.
«Tu non ti fidi di nessuno, infatti.» Ribatte.
«E tu cosa ne sai?» Lo guardo di sottecchi.

«Ti ho vista prima con mia cugina, Erika. Fai di tutto per allontanare le persone e restare da sola.»

E menomale che non è uno stalker...

«Io non allontano le persone, ho solo una guardia alta.» Dichiaro. «E poi, meglio soli che male accompagnati.» Ripeto ad alta voce il mio mantra.

«Allora permettimi di farmi conoscere da te, e di farti cambiare idea su questo motto. Permettimi di farti capire che avere la presenza di qualcuno al proprio fianco non è un danno.»


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