31. Incubo

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Non rispondo. Sono completamente fuori dal mondo, rischio di farmi male.

«Jen, ci sei? Ti prego, parlami. Sfogati con me, così ti sentirai più libera.» Esteban mi abbraccia, ma io reagisco in fretta, spingendolo lontano da me.

«Vattene, ES. Ti conviene allontanarti da me, se non vuoi avere una maledizione per tutta la vita anche tu.» Non riesco neanche a guardarlo in faccia. Sto ancora realizzando, o meglio sto capendo di essere maledetta, ma non realizzerò mai tutto questo. Non sono in un film thriller, cazzo.

«Sono disposto a fare qualsiasi cosa, pur di farti sentire meglio.» Ammette. La sua voce, come la mia, é distrutta, spezzata, ma la sua cela anche un velo di dolcezza.
«Tu non puoi farmi sentire meglio. Niente può farlo, se c'è qualcuno o qualcosa che se la prende con me e la mia famiglia. Non posso buttarti addosso tutta la merda che è la mia vita.» Urlo, e le lacrime scorrono come fiumi sulle mie guance. Io non piango mai, ma se si tratta della mia famiglia, crollo. È l'unica cosa a cui tengo.

«Almeno caccia fuori qualcosa. Tutti abbiamo una vita di merda, che sia il diavolo o un'altra creatura suprema, hanno deciso di volere solo il male sulla Terra.»
«Non posso.» Mi siedo sulle scalinate che collegano ogni balcone, e mi prendo la testa tra le mani. «Prendi me, brutto coglione di merda.» Urlo all'aria, senza neanche sapere a chi sia rivolto esattamente.

Esteban si siede accanto a me ed io, distrutta, appoggio la mia testa sulla sua spalla. Vorrei solo che tutto questo sia un incubo, ed Esteban sia l'angelo che salva la situazione, ma so per certo che questa è la realtà, perché io l'ho già vissuta una cosa uguale, per una causa diversa.

«Io non so cosa stia succedendo alle mie spalle. Quando avevo cinque anni, mi tolsero mio padre, che per cause che non conosco era finito in coma in ospedale, per poi sparire per sempre dopo due giorni. Oggi sta succedendo questa cosa a mia madre, proprio oggi che avevo deciso di farla venire da me per una vacanza, perché dovevo tenerla al sicuro da un brutto presentimento che avevo. In questa partita non ho sbagliato una volta, ma due, e chi lo sa, forse è stata colpa mia anche quando ero piccola, se mio padre è morto.» Parlo tra me e me. Sto talmente distrutta mentalmente che non riesco neanche a capire quale sia il collegamento di quello che ho detto. Intanto il mio pianto aumenta senza che io possa controllarlo. Non mi capitava da una vita di stare così male.

«Hey, shh. Ci sono io con te. Cerca di respirare.» Avvolge le sue braccia attorno al mio corpo, e questa volta non lo mando via. È brutto e strano da ammettere, ma ho bisogno di conforto, e pare che Esteban sia proprio un vero amico, quello che ti offre la spalla su cui piangere.

«Sai, quando ti ho conosciuto, ho capito subito che nascondevi qualcosa di oscuro nella tua vita, ma mai avrei immaginato una cosa del genere. Pensavo che fosse la droga, qualche segreto riguardante qualcosa che avessi fatto tu, ma mai una cosa del genere. Tua madre, poi, come te, deve saper nascondere molto bene le sue emozioni, perché mi è sembrata davvero una donna solare.»

«E lo è. Siamo entrambe brave a camuffare ciò che proviamo, ma per quanto riguarda il carattere, siamo completamente diverse, o meglio, ora siamo diverse, ma anni fa ero letteralmente la sua fotocopia. Con la morte di mio padre, e i miei ricoveri per l'anoressia, sono cambiata, e quindi eccomi qui, una persona insensibile che scoppia solo se si tratta della famiglia.» Ammetto, in tono triste e chiuso. Devo essere proprio distrutta per parlare in questo modo così liberatorio con un ragazzo, che per di più conosco poco.

Lui alza la mia testa, prendendomi sotto al mento, e quindi sono costretta a guardarlo negli occhi, notando che anche i suoi occhi sono lucidi. Questa cosa mi abbatte ancora di più. Non solo sto distruggendo la mia famiglia, adesso sto distruggendo anche un amico.

«Jen, ascoltami. Ce la farà, devi avere tanta speranza, e soprattutto tanta forza, che so che hai. Tua madre anche è forte, e vincerà questa battaglia. Tutto andrà per il meglio. Appena tua madre si riprenderà, possiamo occuparci della situazione che si è messa contro di voi per mettere fine alla vostra generazione.» Il suo volto comincia piano piano ad avvicinarsi al mio, e i suoi occhi si spostano sulle mie labbra. No, dimmi che non vuole fare quello che penso. Non è il momento giusto, considerando la mia condizione.

Nonostante la mia disapprovazione, non riesco a smuovere la mia faccia ne da un lato, ne dall'altro per schivarmi. Sono bloccata, ma non è la sua mano a bloccarmi. È il mio corpo a farlo.

Mancano due millimetri, e le nostre labbra diventeranno un unisono.

Ci stacchiamo di colpo quando il mio cellulare comincia a squillare forte. Direi che sono stata salvata, ma il mio corpo mi sta facendo capire tutto il contrario. Cosa mi sta succedendo?

Rispondo senza vedere il numero. «Pronto?»
«Hey, piccola, come stai?»
«La mia voce non la senti? Chi sei?»
«Mia piccola Jenny, non c'è bisogno di alterarti. Ti ho chiamato per dirti che sono dispiaciuto per quel che è successo a tua madre. È davvero ingiusto. Dici che si riprenderà?» Sembra ferito, triste.

«Si, ovvio che ce la farà.» Borbotto a denti stretti. Mi sta cominciando ad innervosire. Che vuole da me? Questa chiamata non è un caso, e non è neanche al solo scopo di dichiarare il proprio dispiacere.

«Oh, mi fa piacere sentirti così convinta e sicura di te. Credevo che con la voce che hai non saresti neanche riuscita a parlare.»
«Ma se nemmeno mi conosci, come ti permetti di dire cosa sono capace di fare e cosa no?»

Esteban continua a guardarmi sempre più confuso, ma quando fa per prendersi il cellulare e parlare al posto mio, mi alzo dalle scale per spostarmi. Non si intrometterà tra me e lo sconosciuto. È una mia questione, e deve restare tale. Me la risolverò da sola.

«Mh, non saprei. Se ti dico che io ti conosco più di quanto credi, e che anche tu dovresti ricordarti di me, non mi crederesti neanche, quindi ti lascio nel dubbio.» Riesco ad immaginare un sorriso beffardo senza però poter immaginare un volto attribuito. Non riesco a collegare la sua voce a qualcuno.

«Okay, tanto neanche mi interessa. Ciao.» Faccio per chiudere la chiamata, ma la sua voce mi blocca.
«Ah, Jenny?»
«Sono Jenna, coglione.»

«Non credo abbia importanza adesso. Un'ultima cosa... condoglianze.» Stacca la chiamata senza darmi opportunità di rispondere, e guardo Esteban con la confusione allarmante visibile negli occhi.

«Dimmi che hai ascoltato tutto. Dimmi di si, ti prego.» Lui mi fa cenno di si con la testa, e sta per parlare, ma lo interrompo, mettendomi a urlare. «Cristo, devo andare da mamma.» Corro dentro, ritornando nella camera dove si trova mia madre, e quel che sento mi ferra. Il suono del macchinario non segna più il suono del battito, ma emette un suono acuto incessabile. I dottori sono attorno a lei che cercano di rianimarla, ma il suono del macchinario mi fa capire tutto.

Se n'è andata anche lei.

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SPAZIO AUTRICE
E anche la mamma, adesso... cosa starà succedendo, secondo voi?

Spero che stia continuando a piacervi, e vi chiedo di non uccidere me per le cose che stanno accadendo in questa storia. Love you<3

Domanda: qualcuno di voi parteciperà al concorso IoScrittore? È solo una domanda, be quiet:)

See you on friday, bears<3

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora