82. Ragazzo

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Una parte di me già era al corrente della risposta, a causa di tutti i deja-vu che ho avuto su cose che non riesco proprio a ricordare, a causa del buco di memoria che ho del periodo che gira attorno alla morte di mio padre, a causa della cicatrice/tatuaggio che ho sulla schiena, raffigurante una Z, e a causa anche del mio eccessivo odio nei confronti degli uomini e delle loro avances non richieste, senza però capire perché odiassi tutte queste cose che normalmente le ragazze della mia età hanno già sperimentato e adorano sperimentare alla mia stessa età.

Insomma, davvero tanti erano i segnali che mi portavano a pensare a questo, ma comunque io non ci credevo, e non ci volevo credere. Ora, però, ritrovandomi davanti ad una prova concreta di quel che può essere successo quando avevo solo 5 anni, riesco solo a sentire una forte stretta al petto, e gli occhi che si riempiono di lacrime.

Com'è accaduta questa cosa, e soprattutto perché non ricordo niente, avendo solo delle sensazioni di star rivivendo delle cose già fatte, soprattutto quando si è trattato dei gesti invadenti di Jonah? Forse è vero, lo shock è stato talmente forte che mi ha fatto dimenticare tutto per evitare di uscirne distrutta.

Alla domanda che ho fatto ad Esteban, non ho avuto neanche bisogno di vederlo annuire, perché ho capito tutto da sola. La cosa che mi ha aiutata a non crollare a pezzi è stato il suo forte abbraccio. Prima ancora che mi rispondesse, lui aveva già notato la mia espressione, quindi è subito corso ad abbracciarmi, sorreggendomi. È così che ci troviamo ancora adesso: Esteban è attaccato a me, che mi stringe forte, mentre accarezza i miei lunghi capelli biondi, ed io che continuo a guardare il punto del letto dove ci sarebbe dovuta essere una piccola macchia di sangue, che avrebbe simboleggiato l'addio alla verginità.

«Jenna, andiamo di sotto adesso, e pensiamo a qualcos altro. Ho intenzione di prepararti qualche leccornia per colazione.»

Staccandomi dal suo abbraccio, lo guardo negli occhi mentre cerca di abbozzare un bel sorriso, e annuisco lentamente, quindi usciamo dalla mia stanza, dopo che io ho preso le forze per vestirmi. Mi siedo sulla poltrona mentre lui si mette ai fornelli.

«Ti dispiace di non essere stato il primo?» Domando, a voce bassa, e lo vedo fermare le sue braccia intente a fare qualcosa con le fette di pane in busta.
«Si, lo ammetto. Mi dispiace di questa cosa, ma mi dispiace ancora di più per tutto quello che hai dovuto sopportare, e che hai dovuto dimenticare. Non oso immaginare come ti senti, adesso, a scoprire questa cosa. Vorrei solo poter fare qualcosa per farti sentire meglio.»
Alzo le spalle, facendo un sorriso quasi forzato. «Stai tranquillo, ci stai già provando.» Lui anche ricambia il sorriso, e continua ad armeggiare pentola, coltello, e piattini.

«Io direi che quello che abbiamo detto ieri è giusto. Non ci resta da fare nient'altro, se non andare a Brighton e scoprire tutte le verità che mi appartengono.»
Lui arriva a tavola con due piattini in mano, quindi mi alzo dalla poltrona. «Si, è l'unica possibilità che abbiamo, e lo faremo presto. Ora pensiamo alla meravigliosa colazione che ho preparato, e poi ho un'idea su cosa potremmo fare.»

Incuriosita, quindi, rivolgo finalmente uno sguardo alla colazione. Esteban ha preparato i french toasts, ma non sono semplici. Li ha fatti a forma di cuore, e al centro ci ha messo la nutella, mettendola anche in superficie, decorando il tutto con lo zucchero a velo. Sorrido alla vista del piatto, e subito mi ritaglio il primo boccone, mettendo in bocca una goduria pura.

«Allora, è più buono questa colazione, oppure la colazione che abbiamo fatto stamattina?»
Lo guardo scioccata, quasi strozzandomi, quindi gli lancio il bicchiere di plastica vuoto che ho davanti a me. «Non fare commenti stupidi.»

Lui scoppia a ridere, per il mio attuale imbarazzo, nonostante l'apparente ira, e alza le mani. «Dai, io mi sento vivo, adesso.»

Se fosse possibile, il mio viso in questo momento starebbe diventando viola per la vergogna. Però, nella mia mente, devo ammetterlo: anche a me è piaciuto. Forse è lui che mi piace.

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