37. Disagio

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Sono due giorni che lo sconosciuto non si fa sentire, ma la sua ultima frase è vivida nella mia mente, come se avessi un disco rotto in testa e stesse ripetendo questa frase senza sosta. Non è assolutamente vero quello che ha detto. Io sono figlia unica, e tanto meno sono figlia di colui che ha ucciso i miei genitori.

Cerco di concentrarmi su quel che sto facendo. Ieri non sono andata all'università, perché non me la sono sentita per vari motivi, ma oggi ho raccolto tutto il coraggio ed eccomi qui, a combinare un casino dopo l'altro. Mi sento proprio tra le nuvole.

Due volte mi sono caduti i libri da mano, mentre li mettevo nell'armadietto, non ho salvato il file degli appunti di filosofia sul laptop, perdendoli, e mi sono bagnata tutta con la bottiglia d'acqua mentre stavo bevendo. Sto dando troppo all'occhio, ed Esteban ed Erika me lo stanno ripetendo da stamattina.

Tornando con la testa sulla terra, o così si fa per dire, faccio mettere un piatto di pasta, patate e provola sul vassoio e due fette di merluzzo con le patate gradinate al forno. Dopo aver preso anche una bottiglietta d'acqua, rigorosamente naturale, mi siedo ad un tavolo da sola, cercando di concentrarmi su me stessa e sul pranzo.

La forchetta mi cade a terra mentre cerco di aprire l'involucro delle posate, e quindi sbuffo. Non posso alzarmi e andarmene in giro con il vassoio, adesso. Mangerò con il cucchiaio e il coltello.

Comincio la mia impresa con tutta la svogliatezza possibile, ma vengo interrotta da un gruppo che si avvicina a me all'improvviso.
«Ciao. Jenna, giusto?» Chiede una ragazza di loro, l'unica che ha i capelli di colore lilla.

«Si?» Rispondo, e la mia confusione trasforma la mia risposta in domanda.
«Tutti stanno parlando di te, per via di quel che è successo a tua madre. Condoglianze.»
«Condoglianze.» La seguono tutto il gruppo, composto da 8 ragazzi e ragazze. Sono senza parole. Come cavolo fanno a sapere di mia madre? Malibu non è una piccola città.

«Ehm... grazie.» La mia voce è piuttosto bassa. Sono davvero poche le volte in cui mi sento a disagio.

«Ragazzi, tutti via. Vedete che si sta sentendo male?» Una voce al mio fianco borbotta a voce molto alta. Jonah. Le persone davanti al tavolo dove sto mangiando se ne vanno via senza dire più nulla, ed io abbasso la testa, riprendendo a mangiare qualche maccherone.

Non ho neanche la minima voglia di parlare con Jonah. Chissà, magari se lo ignoro rispetta anche lui quello che ha detto, andandosene come agli altri. Sinceramente preferivo più la compagnia degli sconosciuti che la sua.

«Pasticcino, non pensarci più. Tu sei una ragazza stupenda, non farti rovinare dalle cose che ti dicono, e soprattutto da quelle che ti succedono. Devi andare avanti. Sai cosa ti serve?» Faccio una faccia sarcastica senza rispondere. Sicuramente non ho bisogno di lui.

«Beh, visto che non lo sai, devo farti una piccola rinfrescata. Dunque, io ho un fisico palestrato, dei pettorali da paura, un sedere alto e sodo, un viso da modello, e un pacco ben dotato, e soprattutto duro a causa tua, quindi, quello che ti serve è proprio del sano sesso con me. Non a caso, il sesso è ritenuto terapeutico, e ora fa proprio al caso tuo.» Comincia con le sue solite porcate. Ma quanto è snervante questo ragazzo? Dio, mi sa che gli devo proprio iniettare qualche droga per castrarlo.

Ah , approposito di droga... mi sa che devo chiamare qualche spacciatore per rifornirmi. A causa di Esteban, sono rimasta a secco e credo proprio che sia l'unica cosa che possa farmi sentire di nuovo viva e libera.

«Allora, che ne dici? Ci appartiamo in un bagno o in qualche aula vuota?» Propone.
«Quel che fa al caso mio in questo momento è mangiare in santa pace, e credo che se non te ne vai ti vomito addosso, perché tutte le cose che dici mi fanno girare lo stomaco.»

Niente, non si intimorisce. E se me lo induco il vomito, e davvero gli vomito addosso? Cavolo, sono davvero tanto tentata, ma non posso indurmi il vomito davanti a lui e davanti a tutti gli studenti presenti nella mensa. Disgusterei tutti.

«Allora mi faccio trovare a casa tua dopo le 3? Cazzo, mi stai istigando troppo, non posso resistere troppo.»
«Torna a scoparti tipe a caso.»
«Ma le altre non sono te.»
«E non immaginarmi nemmeno, mi fai venire voglia di sfregiarmi la faccia per farti schifo.»
«Però il tuo fisico sarà sempre lo st-»

Viene interrotto dalla voce di Esteban. «Jo, ti sta cercando di dire che devi lasciarla in pace e soprattutto che non vuole assolutamente niente da te. Smettila di essere invaghito ossessivamente da lei, e trovati un altro bersaglio, magari uno più facile.»

«Vaffanculo, Esty. Devi sempre rovinarmi tutto. Io non mi fermerò finché non avrò avuto quel che voglio. Io non sono un perdente.»

«Questa partita, però, l'hai persa già in partenza. Hai scelto l'avversario sbagliato.»

Finalmente, dopo ciò che ha detto Erika, se ne va, nervoso. Chissà se stavolta gli è chiara la mia intenzione.

«Jenna, adesso ci siamo noi, quindi non avrai più disturbi per ora.» Erika mi poggia un braccio attorno alle mie spalle ma, delicatamente, lo tolgo e chiedo a voce bassa: «Vi dispiace se vi chiedo di lasciarmi sola? Ho bisogno di respirare, dovrei cercare di mangiare qualcosa, e ho anche bisogno di pensare.»

«Ci spostiamo da te ma restiamo qui con te a questo tavolo. Almeno, evitiamo che altre persone vengano a disturbare.» Erika dichiara, ed infatti si scostano leggermente da dove sono seduta io. Diamine, ma perché nessuno ascolta quello che dice? Sono tutti testardi.

Non rispondendo, ricomincio a mangiare, anche se faccio un po' di fatica a mangiare con il cucchiaio. Riesco comunque a finire il piatto di pasta, ma purtroppo il rispetto della tranquillità non dura per molto.

Non sono Erika o Esteban a rompere il silenzio, bensì il mio cellulare, con un numero sconosciuto.

Sbuffando, rispondo e poggio il telefono all'orecchio. Non metterò il vivavoce. Alle altre persone non devono interessare le mie strane chiamate.

«Piccola Jenny, ti sono mancato?» Io non rispondo, ma gli stacco il telefono in faccia, alzando gli occhi al cielo.

«Era ancora lo sconosciuto?» Chiede Esteban, rompendo il suo silenzio.

«A quanto pare non smette mai di tartassarmi. Vorrei solo capire chi è e denunciarlo per tutto. Non so, però. Sento che ci sono ancora tante cose che non so, ma non riesco neanche ad immaginare cosa.»

Il cellulare squilla di nuovo, segnando lo stesso numero di prima.
«Rispondi, Jen. Solo rispondendo, potrai avere i dettagli che cerchi.»

Lo guardo scettica ma alla fine rispondo, poggiando di nuovo il cellulare all'orecchio. Esteban ha ragione, e fin quando si tratta di parlare tramite il cellulare, posso chiedere tutto quello che voglio, restando sicura.

La prima cosa che faccio, però, prima di parlare, è allontanarmi dalla mensa. Non ascolteranno la conversazione, ma in questo caso soprattutto le mie richieste. Finché non avrò certezze, devono restare cose interamente private.

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SPAZIO AUTRICE
Sono in ritardo, scusatemi, ma ci sono AHAHHA cosa pensate? Vi sta annoiando?

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