68. Touchè

9 4 1
                                    

Tra lo scartare tutti i regali, i ringraziamenti, e un po' di divertimento con l'acqua gelida dell'oceano, siamo tornati all'ospedale di Los Angeles e abbiamo salutato Erika, che ha seguito poi la oss per ritornare in reparto per il pranzo. L'abbiamo davvero fatta emozionare con questa sorpresa, o meglio sua madre le ha fatto un bellissimo regalo. Io non sapevo che saremmo venuti fin qui a quest'ora del mattino, ma che lo avremmo fatto nel pomeriggio.

Appena ci fermiamo con la macchina, mi sento scuotere da due mani calde, quindi apro gli occhi. Davvero sono finita per addormentarmi sulla spalla di Esteban? Ultimamente sto perdendo colpi.

Mi alzo, senza dare troppo all'occhio con il mio imbarazzo per le cose che faccio quando non sono cosciente, e guardo fuori dai finestrini.

«Siamo a casa mia, Jen.»
«Si, lo avevo capito.» Okay, non avevo idea di cosa rispondere.

Scendiamo dall'auto, prendendo tutti i regali ricevuti, ed io ed Esteban entriamo in casa.

«E voi non entrate?» Chiedo alle due donne, che si sono rimesse in macchina.
«No, abbiamo degli impegni in famiglia.» Si giustifica Julien.
«E tu, mamma? Anche io faccio parte della famiglia.» Chiede il mio amico affianco a me. Posso capire il suo senso di esclusione in questo momento.

«Non puoi lasciare la tua ragazza da sola. Ci vediamo più tardi, buon Natale a voi.» Julien parte con la macchina, togliendo anche la possibilità di rispondere e precisare il nostro stato.

Esteban, dal canto suo, entra in casa scoppiando a ridere, però giustifica la sua risata. «Mia madre ha una capacità di farsi film mentali davvero fuori dal comune.»
«Sicuramente mai quanto me. Se facessero una manifestazione sui film mentali più stupidi e più divertenti, casa mia ora sarebbe piena di premi Oscar.»

«Che vuoi dire? Ti fai film mentali di me e te insieme, Jen?» Mi provoca.
«Oh, no. Jonah si è appropriato della tua mente?» Rispondo con un altra domanda, fingendomi terrorizzata.
«AHAH, molto divertente. Però hey, questa è una prova che tu mi ami.»
«Non c'è nessuna prova e no, io non ti amo. Io non amo nessuno, a dir la verità. Non so amare me stessa, figurati gli altri.»

Per evitare di ricevere altre domande scomode o imbarazzanti, mi incammino verso la cucina, facendomi comunque aiutare da Esteban. Non so usare le stambelle.

«Cosa ti va di mangiare, per il pranzo di Natale?» Chiedo, appena noto che lui sta per parlare di nuovo.
Lui mi guarda divertito, intuendo il mio tentativo di scappare da "quella" conversazione, ma comunque mi risponde. «Tu devi stare ferma, perché non voglio che ti fai male stando in piedi a cucinare. Preparo io qualcosa di speciale. Prima però devo fare una cosa.»

Prima ancora che io possa rendermene conto, mi prende a mo di sposa e mi riporta in salone, facendomi straiare sul divano.

«Cosa fai, ES? Ti denuncio per molestie contro una persona indifesa.» Gli punto il dito contro, minacciandolo con tono serio ma anche scherzoso.
«Ah si? Davvero hai il coraggio di denunciare la persona che ti piace?» Mi provoca ancora. Forse lui e Jonah sono abbastanza simili.

«Se intendi come amico, è normale che mi piaci, altrimenti a quest'ora non stavo con te, e soprattutto non stavo insieme a te tutti questi giorni.» Se intende altro, la risposta è no. Io non ho idea di quello che farei. Sento di star cambiando in bene, forse grazie alla sua presenza, o chissà cosa, ma se devo dire di provare qualcosa per lui, più dell'amicizia, la verità è che non lo so neanche io. Non so come ci si sente ad amare qualcuno.

«Approposito di te... visto che vuoi così tanto parlare con me, ti ricordo che hai un po' di cose da dovermi spiegare.» L a sua faccia cambia subito, diventando annoiata, ma mantenendo comunque la vena divertita. «Cosa significa quel puzzle esattamente?»

«Innanzitutto la scelta del puzzle è dovuta al fatto che tu stessa sei come un puzzle, perché hai tanti pezzi da trovare della tua vita, e anche perché tu sei complicata da essere capita.»

«Non so se considerarlo un insulto o un complimento.»

«Poi, si tratta di una città italiana, una parte della mia cittadinanza. Buon cibo, buona cultura, bei posti da vedere. Ho scelto Venezia per la sua particolarità, e non per il classico fatto che è la città dell'amore, della storia di Romeo e Giulietta.»

«E menomale che non è per quello, perché l'amore non rappresenta me. E vedi che è Verona la città di Romeo e Giulietta.» Lo interrompo, ma lui non fa neanche caso alla mia risposta.

«Venezia, è considerata una città bipolare in Italia, quindi mi ricorda troppo te.»

«Hey, questo è sicuramente un insulto. Io non sono bipolare. Forse tu lo sei, considerando che prima fai l'apatico, poi sembra che vuoi qualcosa di chiaro e sei al settimo cielo, tanto da divertirti anche.»
«Io non nego di essere bipolare, però dico con certezza che io so per certo quello che voglio, solo che non sempre mi va di battermi.» Ribatte.

«Okay, non importa. La scelta del libro, invece, da cosa dipende?» Cambio discorso. Ripeto, non voglio conversazioni scomode, ma devo sapere i significati dei regali, ovvero i motivi per cui sono stati pensati per me.

«Beh, Fabbricante Di Lacrime rappresenta te, perchè sei apatica, e provi emozioni proprio come nica, come se avssi un fabbricante di lacrime che ti invia le lacrime che devi versare quando devi piangere.»

«Questa spiegazione non ha molto senso, ma sembra abbastanza carino. Questo lo posso ammettere, sono apatica. Ma fammi capire, chi potebbe essere il mio fabbricante di lacrime?»

«Non è una risposta, ma una domanda. Posso essere io il tuo Rigel?»

Scoppio a ridere. «Chi è Rigel, adesso? Io ho chiesto del fabbricante di lacrime.»

«Appunto, Rigel è il fabbricante di lacrime. Allora, posso essere io?» La sua richiesta è talmente stupida che mi trovo ad accettare. Forse è il suo tono di voce delicato e implorante che mi spinge ad essere più buona.

«EVVAI... sapevo che ti sarebbe piaciuto questo regalo.» Mi abbraccia, ma io comincio ad urlare.

«Che ho fatto di male?» Mi guarda allarmato.
«Ho il busto, ES. E non ho detto che mi piace il tuo regalo, o i  tuoi regali. In realtà, l'unica cosa che mi piace è il nome che hai detto, Rigel. I nomi stranieri sono meravigliosi.»
«Ovvio, come il mio. Anche il mio è straniero.» Si vanta. 

Lo guardo senza parole. Mi ha fregata in quel che ho detto. Scoppiamo a ridere insieme, guardandoci negli occhi.  

«Okay, ora mi è chiaro perché ancora non ti ho mandato a quel paese.» Dico ad alta voce, facendolo ridere ancora di più. «Sei la mia versione al maschile. ed è anche strano che questa cosa non mi dia sui nervi.»

«Forse perché mi ami.» Risponde scherzosamente, facendomi capire perfettamente che mi sta prendendo in giro. «Oppure perché, essendo come te, riesco a capire come ti senti in ogni situazione, e so come aiutarti.»

Ci penso un po' su. «Potrebbe essere la seconda opzione.»

«E la prima non la consideri?» Mi richiede, mantenendo il suo bel sorriso. No, non bello. Ho sbagliato. 

Lo guardo male. «Quello è vero solo dal tuo punto di vista.»
«Touchè.» Scoppia a ridere, ed io resto muta. Cavolo, non pensavo che lo avrebbe ammesso.

«Ah, dobbiamo parlare del regalo anonimo non anonimo.» Cambia argomento. Forse anche lui vuole sviare le situazioni imbarazzanti.

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora